Il post-elezioni
La sfida nella sfida di Macron: quella reazione repubblicana su cui puntare
I francesi lo ricordano bene. Era il 2002 e il ballottaggio per l’Eliseo aveva messo di fronte il conservatore Jacques Chirac, presidente in carica, e Jean-Marie Le Pen, il leader del Front National, nazionalista, reazionario, xenofobo. Per la prima volta, alla massima carica dello Stato concorreva un candidato di estrema destra. La reazione dei partiti, dell’opinione pubblica, dell’intellighenzia fu forte e compatta. Grandi manifestazioni riempirono le piazze di Parigi e delle maggiori città. Le Pen venne sconfitto. Il poco amato Chirac, che al primo turno aveva raccolto cinque milioni e mezzo di suffragi, ne ebbe, al secondo, oltre venticinque milioni. La “Francia repubblicana” aveva alzato le barricate.
Il precedente
Una sfida che, in un contesto meno radicalizzato, si sarebbe ripetuta nel 2017, quando al ballottaggio si confrontarono Emmanuel Macron e Marine Le Pen, la figlia di Jean-Marie, e questa volta fu Macron a godere “dell’opposizione repubblicana” nei confronti della giovane leader del Front National, raccogliendo quasi ventun milioni di voti. Succederà ancora, fra tre settimane, quando Macron, dopo aver sciolto l’Assemblea Nazionale, ha convocato nuove elezioni? La sua è una mossa altamente rischiosa, un bluff da giocatore di poker? O il calcolo sia pure temerario di un politico coraggioso? Certo, il presidente ha in mano, una volta di più, la “carta repubblicana”, cioè una risorsa ideologica che ad un paese come il nostro, storicamente afflitto da un discorso pubblico divisivo, può suonare estranea. Ma la Francia è il paese delle rivoluzioni, del 1789, del 1830, di quel vero e proprio “apprendistato della repubblica” che fu il 1848.
È il paese della Terza Repubblica, che era nata nel 1870 sulla sconfitta di Sedan e sul sangue della Comune, ma che poi avrebbe modernizzato il paese, moltiplicando le libertà associative, valorizzando le autonomie locali, rendendo universale la scuola primaria, nazionalizzando l’istruzione superiore, varando il divorzio. Uno Stato che nel 1905 aveva proclamato la propria natura laica, a garanzia di ogni diversità. Una democrazia forte di un’opinione pubblica capace di vincere le forze reazionarie del caso Dreyfus. La Francia era la repubblica di Marianna, con la sua veste rossa e il berretto frigio, simbolo di un’unità nazionale che ha potuto innervare la storia del paese a destra come a sinistra, al di là delle sue stesse vicende non di rado controverse, la breve Quarta Repubblica del 1946, la Quinta Repubblica di De Gaulle e di Mitterand.
La reazione repubblicana
Certo, Macron può fare appello a una simile storia politica e culturale, anche se il cauto processo di moderazione della destra lepenista e gli stessi clamorosi risultati delle europee indicano come la “carta repubblicana”, con ogni probabilità, sia oggi meno garantita di quanto non fosse anche soltanto qualche anno fa. Nuovi elettori accedono alle urne. La memoria storica sbiadisce con il passare delle generazioni. La frammentazione dei partiti, come da noi, come in tutto il Vecchio Continente, segnala le difficoltà della democrazia rappresentativa, l’affanno della politica, il diffondersi a macchia d’olio dell’ostilità nei confronti delle élite e dell’establishment. La “reazione repubblicana” diventa forse una scommessa audace. L’azzardo – o il calcolo – di Macron, del resto, sembra prendere di petto, consapevolmente, simili fenomeni. Sembra sfidare lo stesso spirito di Marianna. Che i partiti si assumano le proprie responsabilità, intende dire il presidente, sciogliendo gli equilibri parlamentari odierni. Che decidano se difendere una volta di più quella Francia delle libertà e dei diritti, laica e riformista, che la sua presidenza ritiene di aver rappresentato, al di là della lotta politica tra destra e sinistra, al di là dei conflitti sociali, al di là delle strettoie finanziarie.
Una sfida che contiene peraltro la classica subordinata. In caso contrario, infatti, ove mai la “reazione repubblicana” venisse meno e fosse la destra lepenista a conquistare la maggioranza, toccherebbe al pupillo di Marine, a Jordan Bardella, il giovane presidente del Rassemblement National, trasferirsi dagli scranni dell’opposizione all’Hôtel de Matignon, sperimentando cioè le responsabilità di governo di un paese difficile in un momento difficile. Macron, con tutta l’impopolarità maturata negli ultimi anni tra gilet jaunes e riforma delle pensioni, ne sa qualcosa. La sua è una sfida nella sfida. E tuttavia, si potrebbe rispondere, anche i simboli contano. E lo sfondamento dell’estrema destra – la fine ufficiale dello “spirito repubblicano” – segnalerebbe l’ennesima accelerazione della crisi del sistema politico francese, dunque europeo.
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