Pier Paolo Pasolini definiva “sviluppo senza progresso” quel processo subdolo di miglioramento delle condizioni generali al costo della perdita della missione etica di “portare avanti chi è nato indietro” come Pietro Nenni definì il socialismo. E’ infatti innegabile che le nostre vite siano più comode e più lunghe a discapito del senso di comunità e della certezza antica di poter trovare in questa conforto per le esigenze materiali e per i disagi psicologici. Per decenni abbiamo voluto pensare che lo sviluppo fosse un processo lineare, inclusivo e invece ci siamo persi per strada molti se non troppi. La storia, come ci insegnano i padri della Chiesa, procede in maniera elicoidale ovvero con alti e bassi ed è innegabile che questo tempo è basso, bassissimo.

Sempre più spesso ci capita di riferirci a donne e a uomini dei partiti del passato in termini agiografici. Non è tutto oro ciò che riluce ma di sicuro quelle storie personali e collettive sanno evocare competenze e capacità a oggi difficilmente rintracciabili a tutti i livelli. L’eutanasia dei partiti ha contemporaneamente allontanato i cittadini dalla politica e i migliori cittadini dalle istituzioni. La ricerca spasmodica di leader carismatici ha verticalizzato la prassi politica a tal punto da far sentire gli elettori distanti e gli eletti slegati. In particolare il PD, ma più in generale la sinistra, appaiono una somma sterile se non una sottrazione aritmetica di storie e tradizioni piuttosto che la novità costruita su radici antiche. Analogamente, i sindacati e le organizzazioni datoriali e professionali hanno smesso di tradurre le istanze sociali ed economiche dei loro iscritti e iscritte, assomigliando sempre più a commentatori partecipanti di decisioni prese da altri e in altri luoghi in Italia e nel Mondo. Il primo passo è quello di ricostruire comunità e popoli che condividano gli stessi sogni e gli stessi bisogni, individuali e collettivi, e che possano dominare insieme quel senso di solitudine nel quale è piombato il singolo.

Dobbiamo tornare a creare, alimentare e valorizzare le aggregazioni territoriali o valoriali, azzerando la sommatoria perché da ciascuno venga ciò che può dare e a ciascuno venga dato quanto abbisogna. I partiti, per antonomasia, rappresentano una parte e questa chiama un popolo; questo non significa autoghettizzarsi anzi, al contrario, vuol dire cercare e sperimentare alleanze più larghe, aperte. La sfida salvifica è quella che i cittadini e le cittadine possano e debbano partecipare, non dando una routinaria fiducia ai partiti nuovisti di turno, ma partecipando, partecipando, partecipando. Ma tutto questo presuppone il rivendicare e il perseguire il ruolo della politica. Riaffermare il primato di questa sull’economia e sulla tecnica. Oggi il misuratore tra il bene e il male è lo spread, oggi il misuratore deve essere la felicità del singolo e della collettività. In questo quadro, non si può prescindere dal nostro essere parte delle genti europee con particolare riguardo ai paesi del Mediterraneo al di qua e al di là del mare. Gli Stati Uniti d’Europa rimangono l’obiettivo. E non da ultimo, parte della comunità mondiale che necessità sempre più urgentemente un governo planetario contro le diseguaglianze e per la scienza per abbattere la fame, la povertà e la malattia e assicurare la pace.

Per tutte queste urgenze, bisogna essere drasticamente espliciti: Il PD e la sinistra devono essere il partito e il movimento del lavoro, delle lavoratrici e dei lavoratori, di chi ha perso il lavoro, di chi lo cerca o di chi ce l’ha ma è sottopagato; di chi produce lavoro con le proprie mani come gli artigiani, gli agricoltori e gli operai; di chi vuole aria, acqua, terra e cibo puliti e non dice no alla crescita ma la vuole ecologicamente sostenibile; di chi vive nelle periferie delle grandi città o nelle aree interne in un piccolo borgo, entrambi distanti, troppo distanti dalle decisioni e dalle risorse economiche; di chi ha più bisogno di aiuto e non si rassegna; di chi crede che lo Stato non è un Ente neutro ma deve promuovere diritti e doveri ed esercitare il potere e le funzioni per assicurarli; di chi è nato in Italia, lavora in Italia, vive in Italia e paga le tasse in Italia ma non può essere un cittadino italiano. I socialisti e le socialiste, il partito socialista queste cose le ha incapsulate nel proprio dna, non deve prendere lezioni ma neanche pretendere di darne, deve abbandonare il nuoto in piscina e avventurarsi, col coraggio dei riformisti eretici, nel mare grosso e tormentato del dibattito a sinistra e per la sinistra.