La solitudine di Ottaviano Del Turco: i primi a non credergli furono i suoi compagni. Dalla sudditanza del Pd alle procure all’onesto omaggio di Landini

Aver vissuto da vicino la tragedia che ha spezzato la vita di Ottaviano Del Turco mi ha consentito di capire che la prova più difficile da sopportare in queste circostanze di persecuzione giudiziaria è la solitudine. Si tratta di uno stato d’animo ancor più complesso del “sentirsi solo” ad affrontare una sfida sproporzionata tra le tue forze e quelle del potere che cerca di annientarti. In realtà ci si sente lasciati soli da chi – fino al giorno prima che i carabinieri si presentassero all’alba con un mandato di cattura a tuo carico – avevano con te rapporti normali anche di amicizia.
In questo salto nel buio può incorrere anche il tuo vicino di casa, ma se è coinvolto un uomo pubblico l’effetto è amplificato perché sono in tanti a conoscerlo; gli stessi che prima lo guardavano con simpatia e timore reverenziale e che dopo si sentono autorizzati a spernacchiarti e a cambiare strada per non incontrarlo.

E rischiare l’imbarazzo di dover scambiare quattro chiacchiere o almeno un cenno di saluto. Immagino che Ottaviano si sia posto tante volte questa domanda: “Io non ho fatto nulla di male, ma perché i primi a non credermi sono i miei compagni?”. Ma la domanda dovrebbero anche le persone che hanno conosciuto e frequentato il “mostro” sbattuto in prima pagina. Come si fa a non credere ad una persona con cui hai intrecciato decenni della tua vita? C’è una presunzione di innocenza che non è scritta solo in un articolo della Costituzione, il cui significato è stato invertito (un autorevole dirigente del Pd, il partito di cui Ottaviano era stato tra i fondatori, gli augurò di poter provare la propria innocenza). Prima ancora che nella legge questa presunzione bisogna cercarla dentro di sé perché è un corollario dell’amicizia, della stima che ci ha legati fino a quel momento a questa persona in tanti momenti di vita comune. Credere nell’amico è come credere a noi stessi. Io ebbi la fortuna di trovare subito la risposta giusta nella mia coscienza.

Un innocente non si nasconde

E mi ritengo fortunato. Fui uno dei pochi in quel maledetto 14 luglio 2008 – ero allora deputato – a difendere pubblicamente nelle sedi istituzionali e sui media Ottaviano. Mi avvalsi del diritto riservato ai parlamentari di recarmi al carcere di Sulmona per incontrarlo e portargli la mia solidarietà (ho saputo in questi giorni che lo aveva fatto, in via riservata, anche Franco Marini). Ricordo ancora il sereno coraggio di Del Turco quando – una volta scarcerato – si presentava alla Camera (un innocente non si nasconde) e si sedeva in Transatlantico vicino alla buvette; lo raggiungevo e mi sedevo al suo fianco per assistere alla sfilata dei deputati del suo partito che ci passavano davanti, accelerando il passo, concedendogli, se pareva loro inevitabile, un breve cenno di saluto.

L’omaggio onesto

La Cgil e il Pd continuarono a guardare da un’altra parte persino quando a Ottaviano – ormai affetto da numerose patologie invalidanti che gli hanno succhiato il midollo della vita – un’ottusa burocrazia giustizialista minacciò di privarlo del vitalizio maturato da parlamentare che era la sua unica fonte di reddito e di sopravvivenza. Per fortuna, davanti alla sua bara, Maurizio Landini ha reso un omaggio onesto. Non ho trovato – spero di sbagliarmi – una presa di posizione ufficiale del Pd, al di là delle dichiarazioni – uti singuli – di alcuni esponenti. Purtroppo è nota la sudditanza di questo partito alle procure che lo induce ad abbandonare come cani in autostrada (l’elenco sarebbe lungo) i militanti che incappano in un caso, sempre più frequente, di malagiustizia.