L’altro giorno la Corte Internazionale di Giustizia rendeva noto che la Spagna ha deciso di intervenire nel procedimento avviato contro Israele su ricorso del Sud Africa. Alla dichiarazione di intervento è allegata una lettera regale del 31 luglio 2009, la comunicazione con cui Juan Carlos I riconosce la giurisdizione della Corte, sino ad allora oggetto di riserva. Chissà se, firmando quella lettera, Juan Carlos Alfonso Víctor María de Borbón y Borbón-Dos Sicilias eccetera eccetera, insomma il re di Spagna, immaginava che il Paese sottoposto al Regno della sua stirpe – il Paese che nel 1492 ordinò la cacciata degli ebrei – nel 2024 avrebbe chiesto alla giustizia di investigare sulle responsabilità per genocidio dello Stato Ebraico.

È chiaro che la fondatezza, o no, della dichiarazione di intervento della Spagna nel procedimento dell’Aia non dipende in nessun modo da quell’antico atto discriminatorio, ma c’è un sinistro profilo simbolico in questa ricorrenza: dal Regno cattolico che, sotto pena di morte, cacciava gli ebrei, cinquecento anni dopo viene la requisitoria che ne denuncia l’entità nazionale quale realtà genocidiaria. Chissà se almeno qualcuno tra gli esaminatori di quella petizione avrà un momento di distrazione, pensando alla trama della vicenda ebraica e, in particolare, al filo che da quel decreto rinascimentale porta al mattino d’autunno in cui gli ebrei sono uccisi in massa, in quanto ebrei, nella terra in cui è contestato il loro diritto di esistere. Chi si riprendesse da quella distrazione avrebbe modo di apprezzare la desolante inconsistenza dell’intervento spagnolo nel procedimento eccitato dal ricorso sudafricano.

Pagine e pagine di vaghezze intorno alla parola magica (“genocidio”), costrette a trovare riscontro nella famigerata dichiarazione ottobrina del ministro Gallant sull”assedio” di Gaza e sulle “bestie umane” e, di rincalzo, in quella di Itamar Ben Gvir secondo cui sarebbero stati da considerare terroristi anche i distributori di caramelle durante i festeggiamenti dei massacri del 7 ottobre. Due esempi di comunicazione discutibile, sconsiderata – perfino criminale, per chi lo ritenga – ma davvero inadatte a documentare l’esistenza della deliberata volontà apicale di perpetrare il genocidio del popolo palestinese. A tacere del nulla, letteralmente il nulla, posto a documentare che, sulla scorta di quelle dichiarazioni, sia stato attuato o anche solo tentato il genocidio di cui si parla pressappoco dal minuto successivo ai massacri del Sabato Nero. Parleremo ancora della junta che si va formando a sostegno dell’azione sudafricana.