La storia di Yara Gambirasio è diventata un film. Yara, da oggi su Netflix, prossimamente su Mediaset, diretto dal regista Marco Tullio Giordana. Uno dei casi di cronaca nera più intricati e noti degli ultimi anni. Era il 2010. La scomparsa, le violenze e il ritrovamento di una ragazzina di appena 13 anni a Brembate di Sopra, in provincia di Bergamo.
Le indagini lunghissime e il processo complicatissimo portarono alla condanna definitiva di Massimo Bossetti: ergastolo. L’uomo si è sempre proclamato innocente. Alla ragazza è stata dedicata la onlus “La passione di Yara”, un’organizzazione che sostiene e aiuta i ragazzi a inseguire e realizzare i propri sogni.
Il caso di Yara Gambirasio
Era il 26 novembre del 2010, venerdì. Yara era andata nel centro sportivo del suo paese, Brembate di Sopra, circa settemila abitanti. Era la seconda di quattro figli. “Ho tredici anni – si descriveva così per un gemellaggio con una scuola tedesca – e sono una ragazza snella con occhi castani e capelli abbastanza lunghi, mossi e castani. Adoro vestirmi alla moda anche se i miei vestiti non lo sono. Il mio attore preferito è Johnny Depp, la mia cantante preferita Laura Pausini, il film Step Up. Adoro la pizza, le patatine e le caramelle. Il mio sogno è viaggiare”.
Praticava ginnastica ritmica, la sua passione. Al centro sportivo era andata a piedi: a circa 700 metri da casa. Entrò alle 17:30 e uscì alle 18:40. Ci volevano cinque minuti per tornare a casa ma Yara non tornò mai: era sparita nel nulla. La scomparsa ebbe un’eco nazionale fin dai primi giorni. Ne scrivevano i giornali e le televisioni mandavano i loro inviati sul posto.
Il corpo della ragazzina venne rinvenuto tre mesi dopo la scomparsa, il 26 febbraio 2011, in avanzato stato di decomposizione. Un aeromodellista lo ritrovò in un campo a Chignolo d’Isola. A circa 10 chilometri da Brembate di Sopra. Sul cadavere – sdraiato sulla schiena, le braccia incrociate sulla testa, le gambe divaricate – segni di multiple violenze: sprangate, un trauma cranico, una profonda ferita al collo, almeno se segni da arma da taglio. Nessun segno di violenza sessuale. La ragazza era stata abbandonata o si era accasciata in fuga al gelo, morta di stenti e ipotermia.
L’unico indizio erano le tracce di DNA sugli indumenti della vittima, sulle mutandine e sui leggins. Un passaggio a vuoto: il fermo del marocchino Mohamed Fikri per un’intercettazione fraintesa; scagionato. Il pubblico ministero Letizia Ruggeri, in assenza di un database da confrontare, fece partire la più grande ed estesa indagine genetica mai fatta in Europa: uno screening di massa per rintracciare il DNA di quello che venne battezzato come “Ignoto 1”. Oltre 21mila prelievi e 14mila confronti.
L’aplotipo Y di Ignoto 1 risulto essere Damiano Guerinoni, figlio dell’ex colf dei Gambirasio, che però era in Perù. Si indagò nell’albero genealogico fino al 1815. E si arrivò a Giuseppe Guerinoni, autista di autobus di Gorno morto nel 1999, esumando la salma: venne considerato il padre dell’“Ignoto 1”. Un’indiscrezione portò allora a una donna che forse aveva avuto una relazione extraconiugale con Guerinoni dalla quale erano nati due gemelli: un maschio e una femmina. Il codice genetico del muratore Massimo Giuseppe Bossetti, 44 anni, di Mapello, sposato e padre di tre figli, incensurato, venne considerato sovrapponibile. Ester Arzuffi, madre di Bossetti, ha sempre negato la paternità di Guerinoni, dicendo che Massimo Giuseppe era figlio del marito Giovanni Bossetti, e creduto all’innocenza del figlio.
L’annuncio dell’arresto fu dato addirittura dal ministro dell’Interno Angelino Alfano. Gli avvocati contestarono subito l’assenza di Dna mitocondriale di Bossetti nella traccia genetica rinvenuta ed esaminata. Altro elemento dell’accusa: il furgone bianco Iveco Daily di Bossetti era stato ripreso dalle telecamere di sorveglianza della palestra – quel filmato diffuso dai RIS, emerse in seguito, sarebbe stato “montato ad arte” in accordo con la procura di Bergamo per “esigenze comunicative”; ad ammetterlo il comandante del Ris di Parma in tribunale a Bergamo, e così diversi giornalisti che avevano scritto del video “patacca” sono stati assolti dall’accusa di diffamazione.
Il muratore è stato condannato all’ergastolo nei tre gradi di giudizio. La condanna definitiva tre anni fa. Il Dna gli era stato prelevato con la scusa di un alcoltest. È detenuto nel carcere di Bollate. Lavora assemblando componenti elettroniche e di recente ha ricevuto un premio letterario. L’avvocato Claudio Salvagni ha detto a Telelombardia che il suo assistito non vuole vedere il film: “Sta aspettando che venga fissata finalmente questa udienza a Bergamo. Dopo 5 mesi dalla sentenza della Cassazione di annullamento con rinvio a Bergamo non è stata ancora fissata l’udienza”. Bossetti a proclamarsi innocente come ha sempre fatto.
Le motivazioni della Corte di Cassazione in replica alle obiezioni della difesa a partire dalle analisi sul Dna: “Numerose e varie analisi biologiche effettuate da diversi laboratori hanno messo in evidenza la piena coincidenza identificativa tra il profilo genetico di Ignoto 1, rinvenuto sulla mutandine della vittima, e quelle dell’imputato” e quindi ha “valore di prova piena”. Movente: “Contesto di avances a sfondo sessuale”.
Respinte dalle Corte di Assise di Bergamo le richieste di rianalizzare i reperti delle indagini. I genitori della 13enne, Maura Panarese e Fulvio Gambirasio, si sono mostrati esplicitamente solo in due casi, due disperati appelli: nel 2010 affinché i rapitori rilasciassero la figlia; e nel 2013 affinché “chi sa parli”. Il muratore di Mapello ha scritto in una nota nel giugno del 2021 di essere “un uomo distrutto ma innocente e continuo a lottare con i miei avvocati, per me, per i miei figli e perché Yara non ha avuto giustizia”. Laura Letizia Bossetti, sorella gemella del condannato, ha ottenuto recentemente l’ok della Prefettura per cambiare cognome.
Il film e le polemiche
La fiction ricostruisce la tragica storia della 13enne. È diretta dal regista Marco Tullio Giordana. Il pubblico ministero Letizia Ruggeri è interpretato da Isabella Ragonese, Yara Gambirasio da Chiara Bono. Roberto Zibetti e Massimo Bossetti. Alessio Boni è un colonnello dei carabinieri. La serie, prodotta da Taodue e RTI, è in streaming su Netflix dal 5 novembre 2021.
Il film è stato nella sale per tre giorni dal 18 al 20 ottobre. È stato scritto da Graziano Diana con Giacomo Martelli. La famiglia della vittima ha fatto sapere tramite il suo avvocato che non c’è stato alcun accordo con il regista. Solo una telefonata a cose fatte. Bossetti, condannato all’ergastolo, ha dichiarato a Oggi che “non siamo stati consultati dal regista, un errore viste le mancanze del film, ci sono gravi inesattezze”.
Il regista ha commentato così le critiche in un articolo comparso sul quotidiano La Repubblica: “Il film non è ancora uscito sulla piattaforma Netflix che già scattano le polemiche ‘a prescindere’: come si può fare spettacolo su un caso così tragico, come osate? Come se il cinema, la letteratura e l’arte in genere non avessero a trattare proprio questo elemento nero e disturbante, come se la soluzione fosse rimuovere, censurare, voltarsi dall’altra parte. O sbrigarsela senza neanche guardarlo. ‘Non l’ho visto e non mi piace’, diceva Flaiano per sbeffeggiare l’indignato critico dilettante, mai immaginando che sarebbe diventato il motto del web”.