C’è questo foto scattata in un pomeriggio di fine settembre in via Pola a Roma, quartiere Trieste, che è diventata una delle più note e terribili della cronaca nera italiana. Era il 1975. Dal cofano forzato di una Fiat 127 veniva fuori una ragazza insanguinata che fino a poco prima chiedeva aiuto. Quella ragazza era Donatella Colasanti, vittima del cosiddetto “massacro del Circeo”, uno degli episodi più cruenti e violenti verificatosi in Italia che oggi arriva nei cinema nel film La scuola cattolica, diretto dal regista Stefano Mordini, e basato sull’omonimo romanzo di Edoardo Albinati che vinse Il Premio Strega.
Colasanti in quel bagagliaio si trovava con Rosaria Lopez. Avevano 17 e 19 anni all’epoca dei fatti. Abitavano al quartiere della Montagnola e avevano conosciuto Gianni Guido e Angelo Izzo che avevano frequentato l’istituto privato San Leone Magno al quartiere Trieste. A presentare i due alle ragazze un terzo amico, Carlo. Guido e Izzo si definivano fascisti. Invitarono le ragazze ad andare con loro a Lavinio, in provincia di Roma, a una festa, proprio a casa di Carlo. Le ragazze accettarono ma si ritrovarono a San Felice Circeo.
Il sequestro e le violenze
Precisamente a Villa Moresca, di proprietà dei genitori di Andrea Ghira, 22enne figlio di un noto imprenditore romano, con precedenti per violenze di piazza e per rapina insieme a Izzo, che si fece trovare sul posto. “I due a un certo punto – ha raccontato Colasanti – si fermano a un bar per telefonare a Carlo, così dicono; quando Gianni ritorna in macchina dice che l’amico avrebbe gradito la nostra visita e che andassimo pure in villa che lui stava al mare. La villa era al Circeo e quel Carlo non arrivò mai. I due si svelano subito e ci chiedono di fare l’amore, rifiutiamo, insistono e ci promettono un milione ciascuna, rifiutiamo di nuovo. A questo punto Gianni tira fuori una pistola e dice: ‘Siamo della banda dei Marsigliesi, quindi vi conviene obbedire, quando arriverà Jacques Berenguer non avrete scampo, lui è un duro, è quello che ha rapito il gioielliere Bulgari’. Capiamo che era una trappola e scoppiamo a piangere”.
Le ragazze vengono violentate e torturate. Ghira si prende il tempo per andare a pranzo dai genitori e poi tornare. Rosaria Lopez viene uccisa, annegata nella vasca da bagno. Colasanti viene pestata, picchiata, provano a strozzarla. “Questa non vuole proprio morire” e lei capisce che se ha una possibilità di salvarsi, quella è fingersi morta. È a quel punto che i due corpi vengono caricati nella 127 di Guido. “Shh, parliamo piano, dietro c’è gente che sta dormendo”, scherzano i ragazzi e mettono su la musica del film L’esorcista. Decidono di andare in un ristorante poco lontano da via Pola, dove parcheggiano.
A salvare Colasanti è un passante che sente lamenti e rumori dal cofano dell’auto. “Centrale… c’è un gatto che miagola nel baule di una 127 in via Pola”, è la chiamata che arriva alle forze dell’ordine dopo le 22:50. Il fotografo di nera Antonio Monteforte scatta una delle foto più orribili di tutta la cronaca nera italiana quando il cofano viene forzato. Colasanti ha fratture, ferite e contusioni su tutto il corpo, il naso rotto. Poche ore dopo Izzo e Guido vengono arrestati. Izzo si fa fotografare sorridente in manette.
Il processo comincia nella primavera del 1976. Colasanti è difesa da Tina Lagostena Bassi, celebre avvocata impegnata nella lotta per i diritti delle donne che compare anche nel celebre film documentario Processo per stupro. La famiglia Lopez rifiuta di costituirsi parte civile e accetta un risarcimento di 100 milioni di lire. Come succedeva spesso in quegli anni nei casi di stupro e violenza sulle donne la difesa prova a smontare la credibilità di Colasanti. Izzo, Guido e Ghira furono condannati all’ergastolo. Ghira infatti era sparito per nulla.
Le condanne
Dopo un avvistamento a Roma venne ricostruito che Ghira si era arruolato nel 1976 nella Legione Straniera Spagnola, con il nome di Massimo Testa de Andrés, dalla quale venne cacciato 18 anni dopo perché diventato tossicodipendente. L’esame del Dna provò che era morto il 2 settembre 1994 – ritrovato con una siringa nel braccio – a Melilla. Colasanti non ha mai creduto a quella versione: ha sempre sostenuto che Ghira fosse ancora vivo e a Roma.
Guido si pentì e la sua pena venne ridotta a 30 anni. Fuggì dal carcere di San Gimignano nel 1980 e fu arrestato due anni dopo a Buenos Aires. Fuggì dall’ospedale militare dove era stato ricoverato per un’epatite e venne arrestato nuovamente a Panama e nel 1994 estradato in Italia. Ha finito di scontare la pena nel 2008 e vive a Roma.
Izzo collaborò a numerose inchieste sulla galassia neofascista. Approfittando di un permesso premio, nel 1993, fuggì dall’Italia. Venne catturato a Parigi. Ottenne la semilibertà nel 2004, detenuto a Campobasso, per lavorare di giorno presso una cooperativa. Uccise Maria Carmela e Valentina Maiorano, moglie e figlia di Giovanni Maiorano, un pentito della Sacra Corona Unita che in carcere gli aveva chiesto di occuparsi delle due. Izzo disse che “la presenza di Maria Carmela, i progetti che faceva, l’idea di fuggire con me all’estero, forse perché pensava che io potessi darle una speranza di vita diversa: tutto questo per me era diventato oppressivo”. La figlia fu uccisa perché poteva essere una testimone. Izzo in seguitò sposò in carcere la giornalista de Il Giornale Donatella Papi, convinta della sua innocenza. Un matrimonio che durò un anno solo e finì nel 2011.
Donatella Colasanti è morta di tumore nel dicembre del 2005. La villa del massacro è stata venduta nel 2005 dopo essere rimasta disabitata per tanti anni. Il film La scuola cattolica, presentato fuori concorso al Festival dell’Arte Cinematografica di Venezia, arriva oggi nelle sale. La sua visione è stata vietata i minori di 14 anni dalla Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche perché “presenta una narrazione filmica che ha come suo punto centrale la sostanziale equiparazione della vittima e del carnefice. In particolare i protagonisti della vicenda pur partendo da situazioni sociali diverse, finiscono per apparire tutti incapaci di comprendere la situazione in cui si trovano coinvolti”. Una decisione che ha generato non poche polemiche.