Antonio Landieri aveva solo 25 anni quando una pioggia di proiettili piombò su di lui e i suoi amici mentre giocavano a biliardino sotto casa ai Sette palazzi di Scampia. Ci furono 5 feriti. Antonio che non poteva muoversi perché dalla nascita aveva tutto il lato destro paralizzato, non riuscì a mettersi al riparo e morì poco dopo essere arrivato in ospedale. Ma il dramma di Antonio e della sua famiglia non fu solo la morte. Antonio fu ucciso due volte: la prima dai colpi di pistola, la seconda dall’essere additato come criminale. Ma Antonio era solo un ragazzo che stava andando a mangiare una pizza. La sua “colpa”? Essere nato a Scampia. Era il 6 novembre 2004, i terribili anni della prima faida di camorra. Per essere iscritto nell’elenco delle vittime innocenti della criminalità ci sono voluti 12 anni. “Mio figlio è stato trattato come un criminale, non doveva succedere. Quello che è successo ad Antonio non voglio che succeda mai più. Dodici anni sono lunghi per avere una sentenza di vittima innocente”, ha detto Raffaella Landieri, mamma di Antonio.

Sono passati 18 anni da quando Antonio è stato ucciso.  La sua vicenda è esemplare di tanti pregiudizi ed errori che ancora marchiano un intero territorio. “Antonio che doveva andare a mangiare una pizza, non l’ha mai più mangiata – continua mamma Raffaella – Da allora è iniziato il nostro calvario. Perché abitiamo qui a Scampia non ci hanno fatto fare i funerali. Perché abitiamo a Scampia siamo tutti delinquenti, pusher. Ma Scampia non è questo. Ci sono tantissime associazioni e tante persone per bene che si sono ribellate alla malavita. Ma di noi questo non si parla mai. Di noi si continua solo a fare di tutta un’erba un fascio, come è successo ad Antonio”.

Mamma Raffaella ricorda perfettamente quegli istanti così dolorosi in cui suo figlio fu ucciso da un gruppo di fuoco dei Di Lauro in lotta contro gli scissionisti per il controllo del territorio. Antonio con quella vita non c’entrava nulla. Fu scambiato, insieme ai suoi cinque amici, per un gruppo di spacciatori del rione. “Stavo preparando un panettone perché ad Antonio piaceva tanto – ricorda – sentì gli spari giù al palazzo. Chiamai subito mio marito e corremmo giù. L’ascensore no arrivava mai, facemmo 11 piani di corsa a piedi. Appena usciti dal palazzo vedemmo un ragazzo, dal piede gli usciva un sacco di sangue. Ho visto mio figlio Giuseppe chino su Antonio. Ho preso in braccio Antonio, lui ha girato gli occhi all’insù”.

“Quella sera a sparare erano in cinque – racconta Enzo, il papà di Antonio – poi hanno avuto tutti la condanna all’ergastolo perché avevano in carico anche altri omicidi. Siamo stati 12 anni anche senza sapere chi fosse stato a sparare. Non ci hanno fatto fare nemmeno il funerale – continua – quando abbiamo portato la salma al cimitero c’erano le auto della polizia davanti e indietro a noi, solo noi genitori per l’ultimo saluto. Siamo stati trattati come camorristi”.

In un primo momento tutti dissero e i giornali scrissero, che Antonio era un narcotrafficante internazionale, che andava e veniva dalla Colombia, ma la mamma racconta che lui non aveva nemmeno il passaporto. “Poi ‘grazie’, diciamo così, a un pentito che ha raccontato come erano andate veramente le cose quella sera, finalmente Antonio ha avuto giustizia ed è stato dichiarato vittima innocente della camorra. Dodici lunghi anni dopo perché un pentito ha parlato e ha detto che Antonio non era l’obiettivo ma un’altra persona che camminava come mio figlio e aveva lo stesso giubbino”. Il 27 gennaio 2015 Antonio viene dichiarato vittima innocente della camorra, nel 2017 il primo processo. Poi nel 2018 si è concluso il processo di primo grado nei confronti dei responsabili dell’omicidio di Antonio. L’ultimo capitolo della vicenda giudiziaria si è chiuso nel settembre 2021. Un tempo interminabile.

E intanto la famiglia ha vissuto il suo inferno. “Sono stati 12 anni di angoscia – continua Enzo – Abbiamo perso tutto, a partire dal lavoro. Mia figlia andava a scuola, andava molto bene e non ci è più voluta andare. La guardavano e dicevano: ‘ questa è la sorella di quello ucciso ai Sette palazzi’. Mio figlio era una promessa del calcio e non ha più voluto giocare. Persino mia suocera non è mai più salita a casa nostra”. Enzo e Raffaella raccontano che in quegli anni anche in tribunale erano sempre scortati dalla polizia. “Quando scoprì che uno di quelli che aveva sparato era più piccolo di Antonio, 20 anni, ho capito che quella era una tragedia nella tragedia: io avevo perso mio figlio ed ero condannata all’ergastolo del dolore, lui era un giovane che aveva perso tutto, anche i suoi figli. Due vite perse”, continua Raffaella.

Enzo e Raffaella non hanno mai mollato per dare giustizia al loro figlio. Hanno dovuto lottare con tutti e anche con i giornalisti. “’Hanno ucciso un pusher di Secondigliano, apparteneva a questo, a quell’altro’, scrivevano nei titoli. Le foto di mio figlio in mezzo a quelle dei criminali che lo hanno ucciso. Che tragedia. E poi quando chiedevano scusa usciva un articoletto piccolino”, dice ancora Enzo.

C’è anche un’altra questione che ha particolarmente ferito i Landieri: Gomorra, il best seller mondiale di Roberto Saviano. Uscito nel 2006, due anni dopo l’omicidio di Antonio, tra le sue pagine è finita anche la vicenda del ragazzo e dei suoi amici feriti. “Nel libro c’è scritto che Antonio ‘pare’ che gestisse una piazza di spaccio. Quante copie ha venduto quel libro in tutto il mondo? Tantissime. Una volta in una scuola di Ponticelli un ragazzo ci disse che aveva letto nel libro di Saviano che Antonio gestiva una piazza di spaccio e che non credeva alla nostra testimonianza di familiari di vittime innocenti della camorra”. Saviano tuttavia nel 2013 ha letto il nome di Antonio Landieri tra quelli delle vittime innocenti della camorra durante una manifestazione pubblica.

La dolorosa storia di Antonio Landieri è conosciuta in tutta Italia. Ed è una storia esemplare, purtroppo simile a tante altre che poi sono susseguite dopo. Il cugino Rosaio Esposito La Rossa, editore, l’ha raccontata in un libro dal titolo “Al di la della neve”. Ad Antonio hanno dedicato lo stadio comunale di Scampia, numerosi presidi di Libera in tutta Italia, il primo a Volvera nel 2010, poi a Teano e l’ultimo nel 2018 a Scampia. Una storia importante che non deve essere dimenticata.

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Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.