Il caso
La storia di Giuseppe Zangara, giustiziato per l’omicidio del sindaco di Chicago
«Neanche un fotografo di merda, a vedere gli occhi di un anarchico che muore. Attacca i fili boia che voglio tornare a casa», Giuseppe Zangara visse 33 anni e morì dopo un processo di 33 giorni, l’esecuzione più rapida della storia giudiziaria americana, dopo la fine della Frontiera Western. Tentò di uccidere il presidente eletto americano, F.D. Roosevelt, il 15 febbraio del ‘33, in visita a Miami, sbagliò mira, il presidente si salvò e nell’attentato morì il sindaco di Chicago, Cermak e per questo si disse che Zangara era solo un sicario della mafia col mandato di uccidere un sindaco ostile ai traffici. In realtà Giuseppe Joe Zangara era un anarchico, partito da Ferruzzano, in Aspromonte, con l’idea di cambiare il mondo, abbattere il massimo simbolo dell’imperialismo e dello sfruttamento dei lavoratori.
Ferruzzano stava nella Locride, terra che fu Nazione, sempre contro gli imperi: che aiutò Annibale, e Spartaco, contro Roma. Un paese totalmente anarchico che si rivoltò all’Italia nel 1911 per protestare contro la guerra in Libia, in una sommossa che contò morti e feriti e quasi tutto il paese posto agli arresti. Joe aveva 11 anni e decise di diventare un eroe, ma era nato sotto la stella della sfortuna: aveva le orecchie a punta quando vide la luce, gliele operarono ma lui rimase per molti un simbolo del malocchio, una specie di folletto. La madre morì e il padre lo mandò a lavorare a 6 anni, gli venne un mal di pancia che lui attribuì alla fatica e lo perseguitò per tutta la vita. I ricchi diventarono il nemico, e gli anarchici furono gli unici a non evitarlo per il suo malocchio. Nel ‘22 il treno che doveva portarlo a Reggio Calabria, per uccidere Vittorio Emanuele III, ebbe un ritardo, e il re era già andato quando arrivò Joe. Nel ‘23 puntò più in alto, partì per l’America, ma non trovò mai l’occasione buona per uccidere il presidente Hoover, gli astri si congiunsero per portarlo a Miami, nel ‘33, a incrociare la strada di Roosevelt: lo fregò il suo metro e cinquanta, dovette montare su un banchetto e non riuscì a prendere bene la mira.
Roosevelt si salvò e al suo posto perì il sindaco di Chicago. «Sfortuna», disse lui, e il Miami Herald scrisse: «È un italiano, scuro, tipico della sua razza……non dobbiamo più lasciare un posto libero sulla nostra terra per questa gente». Quanto mancava la sua terra a Joe, i boschi di querce e lecci dietro Ferruzzano, quel mare di smeraldo che lo salutava all’uscita di casa a ogni alba.
Il profumo delle ginestre a primavera, l’odore del mosto che dopo la vendemmia faceva le bolle dentro i tini, le grida felici della mietitura. Tutta la sua vita era stata una mancanza, sua madre l’aveva mollato per il cielo che aveva solo due anni e lui quel cielo perennemente azzurro l’aveva sempre odiato. La scuola l’aveva mollato, mandandolo nei campi dopo i primi due mesi. E gli erano mancati solo pochi centimetri con i quali si sarebbe aggiustato la mira e avrebbe vendicato gli oppressi del mondo. E dopo trentatré anni l’avrebbe mollato la vita, e lui il supplizio della sedia elettrica lo voleva affrontare con più gioia di Nostro Signore. Non aveva paura di morire, solo non gli andava giù di farlo senza un giornalista che raccontasse del suo coraggio, per questo incitava il boia a fare in fretta. E non gli andava giù di averlo fallito il suo obiettivo.
Quella stupida calibro trentotto a canna lunga non li valeva neanche i suoi otto dollari. E nessuno ora avrebbe potuto dire se il mondo sarebbe cambiato senza quel presidente americano. E l’anarchia di cui Giuseppe era figlio non avrebbe mutato le sorti del mondo. Gli era mancato il colpo giusto, come in tutta la sua vita sempre qualcosa di importante gli era fuggita via al momento opportuno. Gli era mancata l’innocenza di Sacco e Vanzetti per smuovere il cuore dei giusti. Così si sforzava, non avrebbe voluto morire, avrebbe semplicemente voluto tornare a casa a Ferruzzano, ma era tardi ormai e questa volta il coraggio non doveva abbandonarlo. Lo tenne stretto, lo prese fra i denti. «Ecco come muore un anarchico» disse al boia che per pochi dollari lo avrebbe fritto. Lui strinse gli occhi, e in un attimo tornò a Ferruzzano.
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