Tra le mitologiche rive di Scilla e Cariddi, la singolare e ineguagliabile storia di annunci di un passaggio nello Stretto tra i più sismici della Terra, potrebbe rientrare nelle favole da raccontare nei momenti tristi. Perché ci provano, che ci crediate o no, inutilmente, dalla prima guerra punica.
Correva l’anno 250 a.C. e, in piena estate, di fronte al mare di Messina, il console Lucio Cecilio Metello ammirava soddisfatto il primo e finora unico attraversamento da una sponda all’altra. Con già in tasca l’alta carica di “Pontifex Maximus”, che ottenne nel 247 a.C., il “facitore di ponte” scelse un “tempus pontis” e, narra Strabone: “…radunate un gran numero di botti vuote le fece disporre in linea sul mare legate a due a due. Sulle botti formò un passaggio di tavole coperte da terra e fissate a parapetti di legno ai lati”. Passarono così indenni soprattutto i 104 “elefanti da guerra” catturati al generale Asdrubale nella battaglia di Palermo dell’anno prima, spaventosi esemplari che fece sfilare a Roma nelle celebrazioni in pompa della vittoria. Dopodiché, il ponte galleggiante lo lasciò alle correnti marine governate dal dio Ponto.

Nel Medioevo ci riprovò Carlo Magno, ma i suoi “meccanici” non andarono oltre qualche disegno. Nel 1060 il normanno Ruggero d’Altavilla duca di Calabria e re di Sicilia, e poi nel 1140 Ruggero II re di Sicilia, rimisero all’opera i sapienti ma si fermarono agli schizzi. Poi più nulla fino al 1840 quando Ferdinando II di Borbone lo fece studiare dai suoi accademici, dopodiché preferì investire nelle “città nuove” con le prime case antisismiche del mondo per il Sud devastato dai grandi terremoti del Seicento e del Settecento.

Il ponte riemerse nell’Italia unita del 1866 con il terzo Governo La Marmora, con l’incarico all’ingegnere delle ferrovie Alfredo Cottrau. Che presentò un progettone di ponte a 5 campate ma, con realismo, lo auto-affondò scrivendo: “…vi sono tali profondità di acque e correnti così impetuose da rendere quasi materialmente impossibile la costruzione dei piloni”. Nel 1870, però, l’ingegnere genovese Carlo Alberto Navone lanciò un avveniristico “Passaggio Sottomarino” con un tunnel di 22 km a 170 metri sotto il pelo d’acqua. Un “miracolo a portata di mano”, promise, con due tronchi ferroviari e due stazioni d’imbocco da dove i treni sarebbero scesi sotto i fondali per risalire a gravità, per la spinta accumulata nella discesa. Costo 35,5 milioni di lire, e 4 anni di lavori. Ne passarono 6, prima di riascoltare l’ordine perentorio di Giuseppe Zanardelli, ministro dei Lavori pubblici: “Sopra i flutti o sotto i flutti la Sicilia sia unita al Continente!”. Ci riuscirono vent’anni dopo, ma con 2 imbarcadero per le prime navi-traghetto. L’epocale terremoto del 1908 con 120 mila morti e distruzioni totali, riportò tutti alla realtà sismica, e solo nel 1921 si riaffacciò la versione tunnel sottomarino dell’ingegnere Emerico Vismara presentata al Congresso Geografico di Firenze, perfezionata nel 1935 dal generale Filippo Corridoni con un lungo tubone d’acciaio poggiato sui fondali. Applausi tanti, ma finí lì. Fino al coupe de theatre del 1952, quando l’associazione dei costruttori dell’acciaio ingaggiò l’ingegnere Usa David Steinmann, “il mago dei ponti” con 240 realizzati, che promise sicuro: “La Sicilia non sarà più un’isola!”. Il suo rendering fece il giro del mondo tra lo stupore degli emigranti italiani che lo immaginavano come già fatto ammirandolo stampato su francobolli e cartoline postali del 1953, sorretto dal gigante Polifemo.

Salutato anche Steinmann, nel 1955 le big delle costruzioni Finsider, Fiat, Italcementi, Pirelli e Italstrade – crearono il “Gruppo Ponte Messina Spa”, che ancora nel 1964 studiava i fondali con l’ingaggio-spot di Jacques Cousteau. E tanto bastò per far fare al ponte il giro d’Italia sulla copertina della “Domenica del Corriere” sotto il titolo sparato: “La Sicilia diventa Continente”, e fu ancora illusione del ponte bell’e pronto. Arrivò poi il ’68, e al Ministero del Bilancio lo inserirono nel Piano di Sviluppo, affidando ad ANAS e Ferrovie la progettazione con 3,2 miliardi di lire. Il 28 maggio del 1969 ebbero l’ideona di bandire un “Concorso Internazionale di idee”. Arrivarono ben 143 progetti da ogni angolo del Pianeta. Due anni di attesa, e finì all’italiana, con 12 premi – 6 primi ex aequo da 15 milioni di lire e 6 secondi ex aequo da 3 milioni – ma nessuno a progettarlo. Il Governo Colombo trovò l’escamotage per uscire dall’imbarazzo mondiale, incaricando l’IRI che, in dieci anni, riuscì solo a varare la nuova società concessionaria “Stretto di Messina Spa” con Italstat, Fs, Anas e le regioni Calabria e Sicilia.

Era ormai il 1983 quando il ministro del Mezzogiorno, Claudio Signorile, annunciò: “Si farà entro il 1994!”. Gli unici a crederci furono i disegnatori della Disney, che il 3 ottobre del 1982 lo raffigurarono su “Topolino” 1401, nella storiella: “Zio Paperone e il Ponte di Messina”. A farlo costruire ci aveva pensato il ricco spilorcio di Paperopoli, ma era tutto di corallo e fu sabotato dai turisti che staccavano pezzi come souvenir. Il Ponte Disney crollò, ma nel 1985 il Presidente Bettino Craxi rassicurò chi ancora ci credeva: “Sarà presto fatto”. E il 16 giugno del 1986 la “Stretto di Messina Spa” presentò tre soluzioni – sottomarino, sul mare e sospeso -, e per l’allora presidente dell’IRI, Romano Prodi, era “una priorità” da realizzare entro il 1996. Il 19 febbraio 1987 scelsero il ponte sospeso, e nel 1992 consegnarono al nuovo Governo Amato il “progetto definitivo migliorato”.

Nel 1994, entrò in scena il Governo Silvio Berlusconi, e Silvio andò per le spicce, provando a sedurre i più sospettosi: “Costruiremo il ponte, così se uno ha un grande amore dall’altra parte dello Stretto, potrà andarci anche alle quattro di notte, senza aspettare i traghetti”. Sedusse il capo della Lega Nord, Umberto Bossi, che dall’“opera vergognosa, inutile e dispendiosa”, abbozzò un mezzo sì. Tanto bastò per far avviare un cantiere e anche le assunzioni più in anticipo di tutti i tempi: gli addetti alla manutenzione dell’infrastruttura che non c’era. Dal 1981 al 1997 spesero 135 miliardi di lire in studi di fattibilità, ingaggiando persino l’Istituto Ornitologico Svizzero per l’“investigazione radar di specie di uccelli migratori notturni per catalogare rotte migratorie, quote di volo, planate e picchiate”.

Anche per il nuovo Governo Prodi del 1996 rimase “priorità nazionale”, ma solo nel 2003 arrivò il progetto a campata unica, ed era tornato Berlusconi che lo inserì nel “Piano delle Grandi Opere”. Lo misero a gara nel 2005 e vinse l’appalto il Consorzio Eurolink, guidato da Impregilo con un’offerta di 3,88 miliardi di euro e, da contraente generale, il 27 marzo 2006 firmò il contratto per progettarlo e realizzarlo. Si parte? Macché. Il 10 aprile ritornò il Governo Prodi che lo retrocesse a “opera non prioritaria”, affidando la querelle della mega-penale per mancata esecuzione al neoministro dei Lavori Pubblici, Antonio Di Pietro. Però a gennaio 2009 fu di nuovo Governo Berlusconi, e il 23 dicembre tutti intruppati al cantiere-civetta per la variante ferroviaria di Cannitello, dove Silvio annunciò l’opera “entro il 2016”, con il costo salito a 8,5 miliardi di euro. Ma il sogno si risgonfiò il 30 settembre 2011 con il Governo Monti che, in piena tragedia austerity, con decreto 15 aprile 2013, mise in liquidazione la “Stretto di Messina”, che promosse l’azione di risarcimento per 325,7 milioni, e il subentrante Governo Letta perfezionò la pratica.

Il Governo Renzi lo rilanciò nel 2016, e anche il Governo Conte il 5 giugno 2020 annunciò “valutazioni senza pregiudizi”, che alla fine lo definirono “vantaggioso” su traghetti e aerei. E il 4 luglio a Montecitorio fu presenato il “Submerged Floating Tube Bridge” dell’ingegner Giovanni Sacca. Nonostante il traforo nella faglia sismica, fu clamorosa l’inversione a “U” dei grillini che, dal “regalo alle mafie” e dal “ponte tra due cosche”, passarono al “miracolo di ingegneria pronto in 4 anni!”. E via con altri 50 milioni di studi mai realizzati. Il Governo Draghi non scartò l’opzione “zero ponte”, scoprendo che mancava il Piano Economico Finanziario. La “Stretto di Messina” però era sempre lì, col contenzioso aperto soprattutto da Salini Impregilo, oggi WeBuild, per 657 milioni per illegittimo recesso. Solo il ri-affidamento senza gara poteva chiuderlo. E così fu.

A marzo 2023 con il Decreto Ponte il Governo Meloni le ha riaffidato il progetto 2011 da aggiornare, con 350 milioni, e 100 assunzioni in comando da Anas e Rfi. Per l’ANAC sarebbe indispensabile una nuova gara, ma il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini passato dal “non sta in piedi” del 2016 all’”opera fondamentale interamente finanziata da privati” del 2022 al “finalmente una legge di bilancio che copre l’intero fabbisogno” -, traguarda i cantieri all’estate 2024 e il ponte al 2032 su 6 corsie autostradali e 2 binari ferroviari, “per 6.000 veicoli all’ora e 200 treni al giorno”. Sarà il più lungo ponte strallato del mondo da 3.300 metri, largo 60,4 metri, retto da due torri alte 399 metri, resistenza ai terremoti a 7,1 magnitudo Richter e ai venti fino a 270 km/h. E sarà “Ponte Silvio Berlusconi”.

Ma il budget tutto pubblico ha un problema non da poco. I 13,5 miliardi previsti nel Documento di Economia e Finanza 2023, più altri 1,1 miliardi di raccordi Fs e Anas, fa quasi il doppio dei 6,4 miliardi stimati nel 2009 per il 40% dallo Stato e il 60% da privati, ed è una volta e mezzo gli 8,8 miliardi stimati nel 2011, e più del triplo dei 3,9 miliardi aggiudicati a gara nel 2005. E se resta così, è un ponte con vista sulla procedura d’infrazione comunitaria 2014/24/UE che consente l’assegnazione senza gara se il costo non eccede il 50% del contratto iniziale (3,9 miliardi, oggi indicizzati Istat a 6,065 miliardi, con un limite massimo a 9 miliardi).

La “Stretto di Messina” ha già approvato l’aumento di capitale a carico dell’Economia, Anas e Rfi portando a 670 milioni le risorse da spendere nel 2024. Nebbia fitta sul resto, come si legge nel DEF: “Non esistono coperture finanziarie disponibili a legislazione vigente”. E lo stesso “Ufficio Bilancio” del Senato rileva uno stanziamento in legge di bilancio “non congruo”, con l’incertezza sul costo finale e l’indebitamento dello Stato. Il costo, infatti, è solo presunto, “a spanne”, ripreso da un emendamento della Lega al Decreto Ponte senza motivazioni e a debito dello Stato. Inutile dire che tanti altri ponti italiani restano figli di nessuno. In 10 anni ne sono crollati una dozzina, e circa 61mila su circa 1.900, rileva il Politecnico di Milano, sono classificati “ad altissimi rischi strutturali” per contesti geomorfologici, età, materiali utilizzati, tecniche costruttive. Se poi l’opera maxima sarà vero ponte o l’ennesimo ponte di chiacchiere & propaganda, insomma le vecchie panzane che non ci lasceremo mai alle spalle, lo sapremo presto. Dopo le elezioni europee.