Kindu, la strage dimenticata. 11 novembre 1961: due velivoli da trasporto dell’Aeronautica Militare, due “Vagoni volanti” C-119 della 46a Aerobrigata di Pisa assegnati al contingente delle Nazioni Unite in Congo atterrano all’aeroporto di Kindu, non lontano dal confine con il Katanga, la regione dalla quale è dilagata la sanguinosa guerra civile che minaccia la giovane repubblica africana, proclamata appena il 30 giugno 1960. I due aeroplani trasportano rifornimenti per i “caschi blu” malesi della guarnigione di Kindu.
È dall’estate 1960 che i velivoli italiani provvedono a circa il 70% delle esigenze di trasporto aereo del contingente ONU. Una missione come tante almeno fino a quando non si consuma la tragedia. Terminate le operazioni scarico dei due C-119, i tredici uomini (due equipaggi completi più un ufficiale medico) escono dall’aeroporto per portarsi presso la vicina mensa della guarnigione ONU. I nostri aviatori non hanno armi al seguito; nulla, infatti, lascia presagire quanto sta per accadere e i rapporti con la popolazione sono sempre stati buoni. Stanno ancora pranzando quando vengono sorpresi da una sessantina militari congolesi ammutinatisi.
I tredici vengono portati fuori dalla mensa, poi vengono massacrati da calci e pugni, infine furono maciullati a colpi di mannaia in mezzo alla strada, che diventò presto un lago di sangue. Si parlò anche di probabile scempio da parte di coccodrilli, e di smembramento dei cadaveri a scopi di cannibalismo, pratiche di magia nera o per confezionare i “Dawa” (amuleti e talismani con ossa umane trattate). Alcuni testimoni ricordarono i miliziani congolesi gridare “Egorgez les cochons!” (sgozzate quei porci), altri dissero che gli aviatori italiani furono linciati a calci, pugni e bastonate, per poi passare al machete e alla mannaia, in mezzo alle strade del villaggio. In campo entrarono anche dicerie popolari, come quella che al mercato nero fosse possibile comprare “carne di bianco” per 10 Franchi al chilo. Le salme furono trasportate in Italia e sepolte nel Sacrario di Pisa, dedicato ai «Caduti di Kindu».