Non si saprà mai quanti algerini morirono il 17 ottobre 1962 sotto gli occhi dei parigini, nel centro della ville lumière, abbattuti a colpi di fucile, soffocati sotto i corpi di altre vittime, annegati nella Senna, strangolati nei commissariati della Goutte d’Or, nelle cui cantine le torture erano già all’ordine del giorno, o di Vincennes. Ufficialmente si parla oggi di 43 vittime.

La versione bugiarda della polizia, che ha resistito per decenni, si limitava a tre persone uccise, 2 algerini e un francese, inseguito a un attacco armato del Fronte di Liberazione Nazionale algerino. In un rapporto segreto inviato 10 giorni dopo il massacro al presidente De Gaulle dal responsabile per gli affari algerini Bernad Tricot, scoperto solo quest’anno dopo la decisione di Macron di aprire parzialmente gli archivi segreti, si contano 54 vittime. Furono molte di più: certamente oltre 200, più di 300 secondo lo storico e archivista Jean-Luc Einaudi, scomparso nel 2014 dopo essere riuscito a impedire, impegnandosi più di chiunque altro, che il silenzio calasse sul giorno della vergogna della Francia: la più orrenda e sanguinosa strage razzista di Stato nell’occidente dopo la guerra mondiale.

Ma quantificare precisamente è impossibile: i rapporti sui cadaveri ripescati dalla Senna, dove erano rimasti a galleggiare per giorni, sono stati fatti sparire dall’allora prefetto di Parigi Maurice Papon, principale ma non unico responsabile della mattanza, condannato nel 1998 per crimini contro gli ebrei durante l’occupazione tedesca negli anni ‘40. In Francia vivevano all’inizio degli anni ‘60 circa 350mila algerini, ammassati in bidonville tra cui la principale era quella di Nanterre, alle porte di Parigi. La guerra d’Algeria si combatteva ormai anche sul suolo francese. La Federazione francese del Fln, a partire dal 1958, aveva portato la guerra anche nel cuore della potenza coloniale, prima con una serie di sabotaggi, poi, prendendo di mira anche le forze polizia.

L’Organisation Armée Secrète (Oas), il gruppo terrorista interno alle forze armate contrario all’indipendenza algerina e che considerava De Gaulle un traditore, massacrava algerini e francesi, con 2700 vittime di cui 2400 algerine in due anni, aveva tentato un golpe fallito nell’aprile 1961 e cercato di uccidere De Gaulle. La tensione era dunque altissima. Pochi giorni prima del massacro Papon, dopo l’uccisione di 11 agenti in un attentato, si era rivolto alla polizia promettendo che “per ogni colpo che riceviamo ne restituiremo dieci” e la frase era stata interpretata come una sorta di licenza di uccidere. Nella Senna nell’ultimo mese erano stati trovati più volte corpi di algerini uccisi, forse dall’Oas, forse da “squadroni della morte” all’interno delle forze di polizia. Ma la manifestazione del 17 ottobre era assolutamente pacifica. L’ordine del Fln era stato tassativo: nessuno doveva portare neppure un temperino o un spilla da balia.

Gli stessi militanti della Federazione francese del Fln aveva controllato che dalla bidonville di Nanterre nessuno uscisse anche solo armi improprie. Circa 30mila persone, quasi tutti nordafricani, si mossero così verso il centro di Parigi vestiti a festa, portando l’intera famiglia, anche i bambini, per protestare contro il coprifuoco che, dal 5 ottobre, vietava a tutti i “francesi musulmani d’Algeria” l’uscita da casa dalle 20.30 della sera alle 5.30 del mattino e imponeva la chiusura alle 19 ai bar frequentati dagli algerini. La manifestazione non sarebbe mai partita. Alle 18, alla fermata della metropolitana dell’Opera, iniziarono i rastrellamenti. I manifestanti che arrivavano con la metro o in autobus vennero arrestati e trasportati nei commissariati o nei centri di detenzione, dove potevano essere internati senza mandato del magistrato. I manifestanti a piedi furono affrontati sui ponti, bastonati con i bidules, i bastoni di legno lunghi un metro in dotazione alla polizia, falcidiati con le armi da fuoco, buttati nella Senna a decine e centinaia.

I mezzi delle forze dell’ordine non bastarono per trasportare nei commissariati e nei centri di detenzione tutti gli oltre 11mila arrestati. Fu necessario requisire i mezzi pubblici, come non succedeva dai tempi dell’occupazione nazista. Le violenze e gli omicidi a freddo continuarono anche dopo gli arresti, a Vincennes e negli altri commissariati. Il 17 ottobre 1962 non fu un caso particolarmente violento di repressione. Fu un pogrom. La guerra d’Algeria infuriava da ormai 7 anni. De Gaulle, tornato al potere in nome dell’Algeria francese, aveva già intavolato con il Fln le trattative che avrebbero portato agli accordi di Evian del marzo 1962 e poi, il 5 luglio, alla nascita dell’Algeria indipendente. Il suo primo ministro Michel Debré era invece contrario all’indipendenza, dunque alle trattative, e così il ministro degli Interni da lui nominato Roger Frey. Prefetto di polizia di Parigi era dal marzo 1958 Maurice Papon: sottoprefetto a Bordeaux e Parigi durante l’occupazione, era stato poi segretario generale del protettorato del Marocco a metà anni ‘50 e poi prefetto nell’est dell’Algeria.

Qui aveva creato un servizio segreto composto da algerini contrari all’Fln, gli harkis, e una struttura coordinata composta dagli harkis, dai Crs, i corpi speciali della polizia francese, e da gendarmi, specializzata nella ricerca e cattura dei militanti del Fln, il Centre de Reinsegnements et d’Action (Cra). A Parigi Papon ripropose il Cra e riunì gli harkis in una Forza di polizia ausiliaria che rispondeva solo a lui. Usò con i “francesi musulmani d’Algeria” gli stessi metodi sperimentati in Nord Africa. Le sue responsabilità nella strage sono enormi e indiscutibili. La sera del 17 ottobre, mentre la furia della polizia raggiungeva livelli inimmaginabili, le radio delle forze dell’ordine continuavano a dare false informazioni, parlavano di poliziotti uccisi in varie zone della città rendendo così la furia degli agenti sempre più incontrollabile. Papon non fece nulla per smentire quelle voci e per riportare sotto controllo la violenza della polizia. E tuttavia sarebbe sbagliato fare del prefetto il solo colpevole dell’orrenda strage, come ancora oggi le autorità francesi, pur avendo infine ammesso il crimine di Stato, continuano a fare. Responsabili o complici furono quasi tutti.

Il giorno dopo il massacro i fotografi provarono a vendere le immagini di quel che era successo davvero, mentre i tg trasmettevano solo i filmati degli arresti di massa e la stampa riportava la versione ufficiale dei fatti, quella con le tre vittime in seguito a un attacco dell’Fln. Nessuno volle pubblicare quelle immagini come nessuno volle vedere i cadaveri che galleggiavano sulla Senna. De Gaulle fu messo al corrente della realtà dei fatti solo 10 giorni dopo. Rispose con una nota scritta in cui chiedeva di fare piena luce sugli eventi e di perseguire i colpevoli e che il ministro degli Interni Frey “desse prova di autorità” riprendendo il controllo sulle forze di polizia. Però non successe niente. La versione dei 3 morti rimase quella ufficiale. Papon restò al suo posto fino al 1966, due anni dopo fu eletto deputato e lo rimase fino al 1981. Nel 1978 fu fatto anche ministro nel governo Barre, con Giscard d’Estaing presidente.

Nei giorni seguenti la strage non ci furono reazioni rilevanti e nessuna manifestazione di protesta fu convocata. L’8 febbraio 1962 una manifestazione organizzata dalla Cgt e dal Partito comunista dopo una nuova raffica di attentati dell’Oas fu repressa di nuovo con tanta brutalità da provocare 9 morti, tutti iscritti alla Cgt o al Pcf, tra quanti avevano cercato rifugio nella stazione metro di Charonne. Tra l’esigenza di fare luce sul massacro e quella di tenersi buone le forze di polizia e impedire che si schierassero con l’Oas, De Gaulle scelse la seconda via.

Fino agli anni ‘80, di quell’orrore era stata sepolta ogni memoria. A scavare per contrastare la rimozione furono nel decennio seguente alcuni storici, sopratutto Einaudi, e negli anni ‘90 il processo contro Papon per i crimini contro gli ebrei fece riemergere in pieno anche il pogrom dell’ottobre 1961. L’ex prefetto ammise solo che i morti erano dieci volte più di quanto affermato allora, 20 invece di 2, ma assicurò che si erano ammazzati tra loro in un regolamento di conti interno all’Fln. Solo nel 2012 Hollande parlò apertamente di “repressione sanguinosa” e di “manifestanti uccisi”. Solo nel 2021 Macron, presso il ponte di Bezons dove un tempo sorgeva la bidonville di Nanterre, ha reso omaggio agli algerini trucidati quel giorno ammettendo che fu “un crimine imperdonabile per la Repubblica”. Un pogrom razzista di Stato.