L’ultima, ancora una volta, è di quel “matto” di Matteo Salvini che si mette a rispondere al capo dello Stato. Per dire che a Palazzo Chigi è risuonato subito l’allarme rosso, il leader della Lega è andato consapevolmente a minare un terreno, che è già particolarmente sensibile. Quello dei rapporti tra la presidente del Consiglio e il Quirinale, nervo scopertissimo che Giorgia Meloni cura personalmente con lo sforzo quotidiano di troncare, sopire e rassicurare. “Che cosa si sarà messo in testa quello?”, si chiede il cerchio stretto di Fratelli d’Italia, che si raduna alla buvette del Senato, facendo riferimento al sempre più inquieto alleato di governo. Prima del botta e risposta con Sergio Mattarella, i segnali si erano già comunque moltiplicati, a partire da alcuni dossier parlamentari, canone Rai, maternità surrogata, balneari, sicurezza. Insomma, chi più ne ha più ne metta.

“Dove vuole arrivare?”, si domandano anche i più stretti collaboratori della presidente del Consiglio, riportando alla capa le voci che girano in Transatlantico o quelle attribuite direttamente al “Capitano”, che come al solito è particolarmente loquace, e una battuta o una confidenza non la nega a nessuno. Perché poi non è solo questione di bandierine a Montecitorio: non sono sfuggite infatti le “connessioni” internazionali della Lega. L’aiuto offerto “urbi et orbi” a Viktor Orban per spaccare Ecr, operazione ridimensionata per il pronto intervento di Giorgia Meloni sui polacchi di Diritto e Giustizia (Pis). E allora perché il “matto” di Via Bellerio continua a picchiare su Ursula von der Leyen, anche nei giorni determinanti in cui l’alleata di governo sta faticosamente tentando di chiudere un accordo e di portare a casa una vicepresidenza? “Randella l’aspirante presidente Ue, ma in realtà parla a noi”, ipotizzano i colonnelli di Fratelli d’Italia.

In più ci sono le elezioni americane a un passo, il leader della Lega ha messo la quarta per bruciare sul tempo i “concorrenti” e aggiudicarsi il titolo di primo supporter italiano di Donald Trump. E ancora una volta chi ha poi veramente nel mirino? Lei, sempre lei, la sua ossessione, la sua mania, quella lì che dirige il traffico a Palazzo Chigi: sì, certo, Giorgia Meloni. Inevitabile che sulla scrivania della premier si affollino i memo di allarme. Il primo fronte resta quello europeo, con la preoccupazione che domenica non si possa festeggiare del tutto neanche a Parigi. Ovvero che la desistenza del Fronte popolare con Emmanuel Macron indebolisca o addirittura ribalti la vittoria di Marine Le Pen. E che Ursula arrivi al dunque della trattativa, senza nessun valido “incentivo” per lei. Bivio di primaria importanza quello con l’Europa e con un solo risultato a disposizione, costi quel che costi, Giorgia non potrà tornare a mani vuote. Vicepresidente e commissario di fascia A. Se sarà necessario prima o poi arrivare al redde rationem con Salvini, serve farlo almeno da una posizione di reale forza.

Che poi fossero solo i problemi che vengono da Bruxelles. C’è la montagna ancora tutta da scalare a Roma. Come nei videogame, che piacciono tanto a Elly Schlein, dopo ogni schermata, ne appare un’altra di maggiore complessità. Ricapitolando: alleati nervosi, poi il rischio “boomerang” sulle riforme, infine le casse paurosamente vuote. Di fronte a uno scenario inquietante, l’altra Meloni, l’alter ego di Giorgia, quella che si è distinta per anni sulle barricate (e nei talk show), non avrebbe la minima incertezza. “Tutti a casa, si ritorni dal popolo sovrano”. Ma lei, l’altra Meloni, tende a farla facile: non è salita con Giorgia a Palazzo Chigi, riappare ogni tanto, a darle manforte in Aula, quando c’è da attaccare la sinistra. Che poi, a dirla tutta nel quadro sconfortante che preoccupa la presidente del Consiglio l’unico aspetto di totale relax riguarda proprio le minoranze.

Per dire, ieri alla Camera si discuteva di Palestina, con una mozione di maggioranza e sei di minoranza, nell’ordine del Pd, del M5S, di Alleanza Verdi-Sinistra, di Italia Viva, di Azione, di Più Europa. A voglia di chiamarlo ancora “campo largo” o “Fronte costituzionale”, come piacerebbe al capogruppo dem Francesco Boccia, sembra piuttosto un “campo minato”: chi si avvicina, salta in aria. E quindi cosa farà Giorgia? Darà ascolto alla sua “gemella”, l’ombra che la segue fin dai mitici tempi della cantina di Colle Oppio, e che evidentemente non è Arianna? O piuttosto asseconderà le voci di alcuni suoi fidati consiglieri, gli unici peraltro dotati di autonomia e di personalità, che le indicano la solita strada? Ovvero rimescolare le carte, cosa che la presidente ha dimostrato di saper fare con abilità, troncare e sopire, portare a spasso il suo vice di marca leghista, sperare nel solito stellone dell’underdog, cresciuta a pane e politica. Una scelta sofferta che attiene alle tre Meloni: Giorgia, la sorella di sangue, e quell’altra che la segue ovunque come un’ombra, di fatto l’unico gabinetto di guerra che lavora a Palazzo Chigi.

Aldo Rosati

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