L’entrata in vigore dell’obbligo di green pass per accedere ai luoghi di lavoro era temuta da molti. Ci si chiedeva quali disordini, quali violenze, quali fratture sarebbero stati determinati dallo scontro tra il Governo ed il cosiddetto “popolo del no green pass”. È stato registrato pressoché da tutti che la protesta è stata molto meno ampia di quanto si supponeva e che i toni non hanno neanche lontanamente sfiorato la violenza, che molti temevano. La sintesi di molti è stata: ha vinto Draghi.

In effetti, un passaggio che rischiava di essere un catalizzatore di tutto il malessere, che attraversa la società italiana, si è, quasi per incanto, sgonfiato di tutte le asprezze e le lacerazioni verificatesi in occasione di vicende molto meno significative. Basta pensare, per restare in tema di vaccini, al dibattito accesissimo che qualche anno fa vi è stato circa l’obbligo vaccinale per gli alunni e alla faticosissima mediazione che, in quella circostanza, è stata raggiunta. Anzi, in questo caso, la vittoria di Draghi è caratterizzata dal fatto che non solo la protesta si è largamente sgonfiata, ma addirittura si è registrata una vera e propria impennata del numero di coloro che hanno aderito alla vaccinazione.
Ove si rifletta che l’Italia viene da decenni di mancate decisioni, nei quali le corporazioni, i centri di interesse più disparati, le battaglie ideologiche avulse dalla realtà hanno mantenuto la società italiana in una sorta di congelatore, è inevitabile registrare che quello che sta accadendo in questi giorni segna un ribaltamento di quelli che sinora sono stati i cardini della vita pubblica italiana.

Rinviare, non affrontare direttamente i problemi, cercare di non scontentare nessuno è stato il filo conduttore di una gestione della cosa pubblica, che ha visto allineati, negli ultimi decenni, tanto i governi di centrodestra quanto quelli di centrosinistra. I risultati sono stati essenzialmente due. Da un lato, la politica del rinvio permanente ha bloccato la modernizzazione del paese e ha spinto le forze politiche a misurarsi su temi secondari e nient’affatto centrali per lo sviluppo. Emblematico è il dibattito sull’immigrazione, che si è svolto nello spazio angusto della dialettica porte aperte o porte chiuse, ma si è ben guardato dall’affrontare la questione, molto più complessa, di come gestire una immigrazione, che in certa misura è inevitabile, e come favorire l’integrazione.

Dall’altro, ha avuto l’effetto di allontanare i cittadini dalla politica. Nel momento in cui quest’ultima si mostra vuota di contenuti concreti e incapace di assumere decisioni, la consapevolezza che l’espressione del voto è diventata un atto inutile si accompagna a un discredito sempre più diffuso della dialettica politica. Ciò tanto più ove, come spesso è accaduto in epoca recente, alla violenza dei toni corrisponde la debolezza dei contenuti. In questa stessa prospettiva, anche quel giustizialismo troppo spesso utilizzato per demolire gli avversari attraverso il circuito mediatico giudiziario, in modo da evitare di misurarsi sul piano politico, è stato un potente fattore di disaffezione. Di fronte a tutto questo, Draghi ha compiuto una rivoluzione copernicana: non urla, ma decide; non rinvia, ma realizza i programmi promessi; non reprime il dissenso, ma non si lascia paralizzare dallo stesso. Sta dimostrando, in definitiva, che non è affatto scritto nel destino dell’Italia che debba essere un paese bloccato, ineluttabilmente destinato al declino. È così che si spiega l’altissimo consenso di cui gode, nonostante un uso estremamente parsimonioso degli strumenti di comunicazione.

Appena insediatosi al governo indicò come prioritaria una vaccinazione di massa della popolazione. A quella indicazione programmatica non sono seguiti proclami o comparsate in televisione a reti unificate, ma solo fatti coerenti con quel programma. Ed è questo modo di procedere che ha conquistato i cittadini e depotenziato il dissenso. Risultato questo, ancora più clamoroso, ove si consideri che il dissenso non si esprime solo attraverso le assurdità antiscientifiche di alcune frange, ma anche attraverso il richiamo, nient’affatto improprio, ad alcuni valori fondamentali di una società autenticamente democratica. Appare essere, questa, una lezione che le forze politiche non possono e non devono lasciare inascoltata. Troppe volte si è assistito a una vera e propria abdicazione dai propri valori e dai propri programmi per inseguire fasce marginali della popolazione. In questo modo le forze politiche hanno, forse, raggranellato alcune migliaia di voti, ma hanno gettato nell’astensione la maggioranza degli elettori. Emblematica di questa vicenda è, forse, la parabola della Lega, che, fieramente antifascista all’epoca di Bossi e di Maroni, si è ridotta a inseguire le frange di destra, tanto da finire invischiata in vicende, che sembrano vellicare una nostalgia del fascismo, come nel caso del parco di Latina, che avrebbe dovuto essere nuovamente intestato al fratello di Mussolini.

Peraltro, va detta con fermezza una cosa: il ritorno in campo, in un modo appropriato, delle forze politiche è urgente. Sono oltre dieci anni che l’Italia è gestita da Governi che non sono espressione della volontà elettorale. Se su questa esperienza si innesta l’apprezzamento verso un capo del governo, non eletto, ma che nei fatti porta il paese fuori dalle secche della pandemia, mentre le forze politiche si accapigliano su altri temi estranei alla vita dei cittadini, se non addirittura irrilevanti, il rischio evidente è un indebolimento del tessuto democratico, innanzitutto nel sentimento collettivo. Affinché questo non avvenga, è necessario che la politica torni realmente ad occuparsi della cosa pubblica, anche mettendo in discussione sé stessa. Per fare un esempio, una verifica approfondita e credibile di quali siano state le modalità di gestione della pandemia, senza delegare ancora una volta tutto alla magistratura, sarebbe un modo per parlare ai cittadini. E non significherebbe, certo, arretrare su quella professione di antifascismo, che in questi giorni sembra invece essere l’unico tema rilevante per il futuro dell’Italia.