A Giorgia Meloni è bastato un Consiglio dei ministri per inanellare scelte talmente superficiali da sembrare, o forse essere, grilline. E dunque – per definizione – sbagliate. Voi direte: non esagerare, Matteo. Anzi gli assidui frequentatori delle pagine social del Movimento Cinque Stelle sanno che ogni giorno siamo noi quelli accusati di essere la stampella del Governo. La realtà è un’altra e molto semplice: con il CdM di lunedì scorso la maggioranza e il campo largo si sono uniti in un accordo populista che fa a pezzi la buona politica.

Meloni era stata attenta nei primi mesi a non mostrare tracce del suo populismo sovranista. Ma le è bastato distrarsi un attimo per tradirsi. O forse meglio: per mostrarsi per quello che è.

Mettiamo i provvedimenti in fila.
Uno. Sugli extraprofitti delle banche questo giornale ha dato spazio a tutte le tesi. Ma comunque la si pensi nel merito la credibilità conquistata sul campo dalla premier in questi dieci mesi è svanita in un lampo nel momento in cui Palazzo Chigi ha firmato un provvedimento perfetto per conquistare il consenso nei sondaggi nazionali e perdere punti di credibilità con gli osservatori internazionali. Quando ci sarà tempesta sui mercati, chi rassicurerà gli investitori?

Due. Sulle intercettazioni il Governo ha fatto il contrario di quello che aveva annunciato. E lo ha fatto come spieghiamo nelle pagine interne con nonchalance degna di maggior causa.

Tre. La guerra mediatica alle compagnie aeree ha prodotto sobrie reazioni. RyanAir ad esempio ha detto che questa misura è degna dell’Unione Sovietica. È evidente che le tariffe sono cresciute troppo in questi mesi ma qualcuno pensa che basti un decreto per cambiare tutto?

Forse lo pensa il ministro Aldolfo Urso, Urss per gli amici. Ancora qualche giorno fa il Ministro delle attività produttive spiegava come l’obiettivo del governo fosse “frenare e contrastare le grandi multinazionali”. A quando l’autarchia?
Provvedimenti del genere entusiasmano Di Battista e Schlein, altro che rivoluzione liberale.

La Meloni strizza l’occhio ai grillini e l’unica apertura vera alle opposizioni è sul salario minimo, titolo che può racchiudere tutto e il contrario di tutto. Ma per chi non si ferma ai titoli, la sostanza è che si tratta del disegno di legge che ha come primo firmatario Giuseppe Conte e il sostegno attivo della CGIL. Può bastare?
Su banche, aerei, intercettazioni, salari minimi destra e sinistra si ritrovano unite più che mai. A fare l’opposizione restiamo solo noi riformisti, gli unici a non andare in processione da Giorgia domani a Palazzo. E gli unici a criticare nel merito le misure che fanno bene ai sondaggi ma fanno male al Paese.
Anche rimanendo da soli, continueremo a contrastare il grande abbraccio trasversale che lega Fratoianni a Tajani, Schlein a Salvini, Conte a Meloni. La politica è una cosa più seria dei sondaggi

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Matteo Renzi (Firenze, 11 gennaio 1975) è un politico italiano e senatore della Repubblica. Ex presidente del Consiglio più giovane della storia italiana (2014-2016), è stato alla guida della Provincia di Firenze dal 2004 al 2009, sindaco di Firenze dal 2009 al 2014. Dal 3 maggio 2023 è direttore editoriale de Il Riformista