La testimonianza
La testimonianza di una rifugiata: “È dura ma sono viva e più forte”
Sono Leyla ho 30 anni. Sono rifugiata in Italia. Sono laureata in arte, amo molto dipingere e ho dei progetti da realizzare: insegnare in una scuola ai bambini l’amore per l’arte, fare una mostra con i miei quadri dipinti da quando sono in Italia e soprattutto, prima di tutto, riabbracciare i miei genitori. Ogni giorno che passa mi impegno per poterli riabbracciare: io non posso tornare da loro ma loro potrebbero venire da me per qualche giorno. Ancora non è il momento ma io ogni giorno mi do da fare perché quel giorno arrivi. Lavoro in una piccola cooperativa come grafica. È un lavoro che mi piace molto, i ragazzi che lavorano con me sono diventati la mia famiglia italiana. Essere una donna rifugiata non è semplice per tanti motivi.
Quando sono dovuta scappare dall’Iran, è stato molto difficile per me. Purtroppo il Paese in cui sono nata e cresciuta all’improvviso era diventato il mio nemico, il pericolo principale da cui scappare per mettere in salvo la mia vita. Arrivata in Europa non pensavo sarebbe stata così dura: l’aereo su cui viaggiavo ha fatto uno scalo a Roma per due ore, prima di arrivare a Copenaghen, dove era diretto. In quelle due ore mi hanno preso le impronte digitali, mi dicevano che era la prassi. Sono stata in Danimarca un anno, ho imparato in fretta la lingua perché volevo integrarmi velocemente, come richiedente avevo iniziato a lavorare in una scuola materna e mi piaceva molto. Poi un giorno di punto in bianco la polizia mi ha detto che per una legge europea che si chiama Dublino dovevo tornare indietro in Italia, perché quello era il primo paese dell’Unione europea in cui avevamo messo piede.
Ho provato a spiegare che io in Italia non c’ero mai stata e che lì non conoscevo nessuno, ma non hanno voluto sentire ragioni. Sono arrivata a Roma e dall’aeroporto mi hanno mandato in un centro d’accoglienza dove sono rimasta un anno. Ho dovuto ricominciare di nuovo tutto. Imparare una lingua nuova, ripensare la mia vita. Essere una donna rifugiata è difficile e doloroso soprattutto se, come me, sei stata malata. In Italia ho subito tre interventi alla testa. Ho vissuto l’esperienza del coma. Sono ancora viva, ancora qui, più forte di prima. Noi rifugiate abbiamo sogni, talenti, determinazione e tanta forza. Possiamo promuovere idee, progetti, realizzare società più giuste e aperte perché ciò che vogliamo più di ogni altra cosa è costruire. Costruire rapporti, costruire ponti, legami e nel mio caso in particolare costruire opere d’arte. Lo facciamo ogni giorno con le parole, con le azioni, con la capacità di perdonare, perché siamo più forti del male che ci hanno fatto.
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