Giancarlo Pittelli, ex parlamentare, ex assessore, prestigioso avvocato calabrese, sta molto male. Da otto mesi è chiuso in una cella di una delle più famigerate carceri italiane, Badu ‘e Carros, vicino a Nuoro. È in isolamento totale. Non vede nessuno. Non sente nessuno. Anche l’ora d’aria deve farla da solo come un cane in un cortiletto. Persino le rare visite consentite ai familiari non ci sono, per via del Covid e del fatto che comunque Badu ‘e Carros è più lontana di Parigi o di Mosca da Catanzaro. Giancarlo Pittelli non è stato in questi otto mesi mai interrogato dal suo Pm. Mai. Come in un famoso romanzo successe a un certo Joseph K. Una volta, una sola volta, gli hanno chiesto se volesse parlare con un giovane Pm di Nuoro, del tutto all’oscuro dell’inchiesta giudiziaria che lo riguarda. Anche questo successe a Joseph K. L’inchiesta che riguarda Pittelli è una delle famose inchieste del dottor Gratteri. Lui ha detto di no, che non voleva essere interrogato da un estraneo. Voleva il suo accusatore, voleva poter parlare con lui e a lui spiegare perché è innocente. Penso che chiunque di noi avrebbe fatto lo stesso. Beh, cominciate a capire come funzionano le cose: parlare col vostro accusatore non è un vostro diritto. L’atteggiamento della Procura di Catanzaro, il rifiuto di occuparsi del caso Pittelli (e probabilmente di decine e decine di casi analoghi) è perfettamente e formalmente legale. Tra i poteri della pubblica accusa c’è quello di far sbattere un cristiano in prigione, di metterlo in isolamento, e di tenerlo lì senza permettergli di difendersi, di spiegare, di capire, per molti e molti mesi. Anche di spingerlo al suicidio. I suicidi in carcere sono in aumento.
Succedeva così anche a Joseph K., più o meno nel 1925. Voi magari potreste chiedere: ma una situazione di questo genere non è equiparabile alla tortura? Sì, sicuramente è equiparabile. Però esistono due tipi di torture: quelle illegali, che possono essere punite, e quelle legali che sono guardate con rispetto anche da gran parte dell’opinione pubblica. La tortura fu abolita in Francia un po’ più di due secoli fa, per una ragione di dottrina: si stabilì che siccome la tortura era contemporaneamente un metodo di indagine – perché serviva a far confessare l’imputato – e una punizione in atto, non era legittima. Dal momento che il diritto ha sempre immaginato che tra indagini e pena non ci possa essere confusione. Perché tenere un signore di 68 anni in prigione per otto mesi, isolato, in attesa di rinvio a giudizio e udienza preliminare, se non per indurlo a confessare e risolvere così i tanti problemi di una inchiesta che sta marciando a giornali unificati ma a prove scarsissime? Nessuno immagina che Pittelli possa fuggire, nessuno immagina che possa inquinare le prove (non ci sono prove, fin qui, tranne alcune intercettazioni piuttosto prive di valore e che comunque non possono certo essere manipolate), nessuno immagina che possa reiterare i reati. Dunque? Resta solo l’ipotesi dell’induzione a confessare. E allora più è duro il carcere meglio è.
Giusto, i reati. Quali sono i reati? In origine erano tre. Rivelazioni di segreti d’ufficio, abuso d’ufficio, associazione mafiosa. Poi, piano piano si sono ridotti. È caduto il reato di rivelazioni, per il quale la Cassazione ha ordinato la scarcerazione, è caduto il reato d’abuso, è caduta anche l’associazione mafiosa che si è trasformata nella mitica accusa di concorso esterno, accusa, come sapete, che si basa sulle congetture, non sulle prove. Per questo viene usata con grande frequenza. E può resistere – dal punto di vista della sua legittimità formale, non certo della logica – anche se cadono tutti i cosiddetti reati fine. Che vuol dire reato fine? Per esempio, truffa. O omicidio. O corruzione. O sequestro di persona. Ti dicono: tu partecipavi, seppur dall’esterno, a una associazione che organizzava furti, o omicidi, o truffe. In questo caso no, il reato fine non c’è: tu hai partecipato a una associazione che non aveva in programma reati, o comunque non ne aveva commessi. È probabile, anche se nel romanzo non viene mai detto (perché l’ipotesi di un reato così fantasioso, nel 1925, sfuggiva persino alla mente molto aperta del suo autore) che l’accusa a Joseph K. fosse appunto associazione esterna. Per tutte le pagine del romanzo, e per tutta la durata del processo, a Joseph K. non viene mai detto qual è il reato.
Vediamo meglio nello specifico i reati imputati a Pittelli. Rivelazione di segreti d’ufficio grazie alla soffiata di un ufficiale dei carabinieri amico. Ma poi si è scoperto che il segreto era pubblico da molto tempo. Abuso d’ufficio: avrebbe ottenuto sempre da questo carabiniere l’insabbiamento di un provvedimento contro un suo cliente. Ma poi si è scoperto che questo provvedimento fu eseguito immediatamente. E infatti sia l’ufficiale dei carabinieri sia il suo cliente sono stati scagionati e scarcerati dopo sei mesi di prigione inutile. Infine concorso esterno per aver rivelato a un amico una frase pronunciata agli inquirenti da un pentito. Secondo l’accusa, Pittelli avrebbe saputo di questo pentito da un agente dei servizi segreti. In realtà questa frase, molto prima che Pittelli la pronunciasse in una telefonata intercettata, era stata pubblicata da diversi quotidiani, tra i quali Il Fatto.
In questi giorni gli avvocati di Pittelli sono andati a trovarlo nel carcere di Nuoro. Dicono di averlo trovato in condizioni penose. Sta malissimo. Barcolla. È imbottito di psicofarmaci. È disperato, rassegnato alla feroce persecuzione alla quale è sottoposto in base alla legge. Parla a fatica. Dicono gli avvocati che in due ore di colloquio sono riusciti a farlo parlare davvero per non più di dieci minuti. L’unico strumento di comunicazione con l’esterno che Pittelli possiede è il telegramma. A me ne ha mandato due recentemente. Tre parole: «Aiutami, ti prego». Noi ci conosciamo appena di vista. Ci saremo visti un paio di volte quando lavoravo in Calabria. Si rivolge a me, Pittelli, perché è stato lasciato solo da tutti… Abbandonato. I suoi avvocati ora tentano una mossa che forse è l’unica possibile. Hanno chiesto il rito abbreviato. Rinunciano a molte garanzie che spettano alla difesa ma almeno, finalmente, potranno portarlo davanti a un giudice, e lui potrà riottenere il diritto di parola.
È indegna questa situazione. Mi rivolgo ai capi dei partiti democratici. Tutti: di destra e di sinistra. Berlusconi, Renzi, Zingaretti, Speranza, Salvini, Meloni: voi pensate che la civiltà possa guadagnarne dalla decisione delle forze politiche di abbandonare nella mani dei Pm un proprio esponente e di permettere che sia torturato, e forse spinto alla morte? Non mi rivolgo al vostro senso di umanità, semplicemente a un ragionamento freddo: se permettete che questo succeda, sappiate che avete lasciato la porta spalancata allo sterminio della politica. E del Diritto.