La tragedia di Francesco Palumbo, stroncato da una setticemia. La figlia: “Ho visto le sue sofferenze aumentare ogni giorno”

Sarà la magistratura a indagare sulla morte di Francesco Palumbo, detenuto del carcere di Secondigliano spirato in ospedale il 30 giugno scorso. La figlia ventunenne dell’uomo ha presentato un esposto alla Procura di Napoli per sapere se la condizione di detenuto del padre abbia o meno rallentato i tempi della diagnosi e della terapia della sua malattia, determinandone la morte.
Francesco Palumbo, 55 anni, era in carcere da maggio 2013, stava scontando un cumulo di pene per un’estorsione e traffico di droga e tra poco più di un anno sarebbe tornato libero. In carcere stava seguendo un percorso di rieducazione, aveva conseguito il diploma, partecipato a corsi di teatro e nell’ultimo anno si era ammalato. Il decesso sembra sia stato causato da una setticemia dovuta all’infezione della massa che gli ostruiva la laringe rendendo sempre più difficile per lui parlare, mangiare, persino respirare.

«Ho visto le sue sofferenze aumentare di giorno in giorno», racconta la figlia nella denuncia in cui chiede ai magistrati di fare chiarezza su quanto si sia fatto nell’ultimo anno per diagnosticare e curare la malattia del padre, tenuto in carcere nonostante un quadro clinico che andava peggiorando. Palumbo aveva scoperto di avere una massa a livello della laringe più di un anno fa e la tac, eseguita il 2 aprile 2020, aveva confermato la necessità di ulteriori esami, in particolare di una fibrolaringoscopia che fu fatta soltanto il 19 maggio 2021, poche settimane prima che la salute di Palumbo precipitasse in maniera irreversibile. Nel frattempo, sempre secondo la ricostruzione esposta nella denuncia dei familiari del detenuto, il 30 ottobre 2020 il detenuto si era sottoposto a una seconda tac che aveva evidenziato una sensibile crescita della massa nonché la presenza di diverse formazioni nodulari.

E in tutti quei mesi le istanze alla Sorveglianza presentate dall’avvocato Raffaele Pucci, difensore di Palumbo, non portarono ad alcuna modifica della condizione di detenuto del 55enne, perché in mancanza dell’esito della fibrolaringoscopia i giudici ritennero che Palumbo fosse compatibile con il carcere. «Già le precedenti relazioni sanitarie – si legge nella denuncia dei familiari – sottolineavano come “la compatibilità col regime carcerario intramurali è compromessa sia dalla complessità clinica che affligge Palumbo sia dalla lentezza dell’espletamento delle consulenze specialistiche e/o diagnostiche territoriali che possono provocare ulteriore nocumento allo stato di salute di Palumbo”».

«L’evoluzione negativa del quadro sanitario di mio padre – spiega la figlia Mirianacosì come facilmente verificabile raffrontando gli esiti delle due tac effettuate il 2 aprile e il 30 ottobre 2020 evidenzia il grave ritardo della risposta sanitaria e il progressivo aggravarsi delle sue condizioni di salute». «La fribrolaringoscopia è stata eseguita a più di un anno dalla richiesta. E con non poche difficoltà perché l’ingrossamento della massa aveva reso difficoltoso l’inserimento del sondino nella laringe. Si ribadiva infatti la necessità di sottoporre mio padre a intervento chirurgico urgente ma nonostante ciò mio padre non veniva operato», denuncia la figlia di Palumbo, raccontando che l’intervento fu tentato come solo quando a inizio giugno suo padre fu portato d’urgenza in ospedale perché perdeva sangue dalla bocca. Da allora è passato dal coma farmacologico alla morte. Davvero c’è stata una relazione tra il tempo trascorso e l’aggravarsi della malattia di Palumbo? La magistratura dovrà dare fare chiarezza.