"Perché siamo diventati patetici?"
La vecchia sinistra e la sindrome del gatto, Ricolfi: “Si rifugia su questioni piccole e provinciali, maggioranza a suo agio in questo nuovo mondo di destra”
Luca Ricolfi è il sociologo e politologo che da trent’ anni, con decine di pubblicazioni tra le quali – con Longanesi – il suo «Perché siamo antipatici?», descrive e analizza i punti deboli della politica italiana, senza lesinare i colpi a sinistra. Docente di psicometria all’Università di Torino, dal 2011 è presidente della Fondazione David Hume.
Professore, siamo di fronte a una nuova divisione del mondo?
«Abbiamo le società avanzate (ovvero ricche e democratiche) versus il “Resto del mondo” (ovvero dittature & democrazie povere, tipo India), un bocco talora indicato come Sud del mondo».
Rispetto a questo nuovo ordine, o nuovo disordine, come reagisce la sinistra italiana?
«Direi che si barcamena e si divide. La sinistra estrema guarda con simpatia al Resto del mondo, descritto come oppresso dalla prepotenza dei paesi ricchi. Di qui l’odio per Israele, e la disattenzione ai misfatti delle dittature, islamiche e non. La sinistra ufficiale non trova di meglio che aggrapparsi al mito dell’Europa, di cui condivide tutte le incertezze e ambiguità. Di qui la tendenza a rifugiarsi su questioni piccole e provinciali, sulle quali inscenare ogni giorno la consueta gazzarra anti-governativa. È la sindrome del gatto…»
Del gatto?
«Sì, ha presente quei gatti che, anziché dare la caccia al topo come sarebbe nel loro DNA, danno zampate verso ogni insetto, pallina, mosca, piuma, lucertola, foglia che gli si agiti davanti?»
Sembrano ricorrere, è stato detto, a vecchie categorie e vecchie soluzioni non avendone trovate di nuove. A proposito di dicotomie, c’è anche quella ieri-oggi?
«Non sarei così ottimista. La sinistra odierna non mi pare capace di applicare le sue vecchie categorie (se no avremmo un novello Berlinguer). Quanto alla destra, non la vedo più capace della sinistra di leggere il presente ma, semmai e semplicemente, più a suo agio in un mondo che si sta rapidamente spostando a destra».
C’è però sempre un ritardo storico. Negli anni Settanta il nemico era la Dc, poi nel Pd si è affermato Franceschini. Negli anni Ottanta il male era Bettino Craxi, nel 2000 D’Alema ha voluto il figlio Bobo al governo. Tra quanto tempo a suo avviso assisteremo alla riabilitazione di Berlusconi e poi di Elon Musk?
«La riabilitazione è un processo che si instaura come conseguenza di una ritrovata egemonia, o quantomeno di un ritorno al potere. Berlusconi la sinistra lo riabiliterà solo quando – essendo tornata al governo – non si sentirà più obbligata a demonizzare l’avversario. Il caso Musk è diverso. Tutto dipenderà da come saranno andate le cose: la sinistra lo riabiliterà se l’alleanza Italia-Musk avrà portato vantaggi agli utenti, e se l’eventuale utilizzo di Starlink per le comunicazioni riservate e crittografate non avrà riservato amare sorprese».
Il pensiero gassoso, i “totem e tabù”, la mostrificazione-lampo dell’avversario caratterizzano la sinistra. Secondo un accademico, il professor Castellani, la sinistra non riesce più ad articolare argomentazioni profonde. Secondo Mieli si limitano a rincorrere i social trend del giorno. Lei concorda? Perché, che cosa è cambiato ontologicamente, nella formazione del pensiero a sinistra?
«È anche un problema demografico, ossia di scomparsa di una generazione di intellettuali profondamente legati al “Partito” anche quando ne dissentivano. Il Pd ignora gli studiosi indipendenti, e recluta ragazzi e ragazze che ripetono meccanicamente formule e slogan, ma non hanno studiato abbastanza per poter guidare la prima forza politica della sinistra».
Ma gli intellettuali, quelli che dovrebbero stare per lo più a sinistra, dove sono? Perché non parlano più?
«Gli intellettuali, come ebbe a notare Eugenio Scalfari una trentina di anni fa, sono diventati dei “monologhi ambulanti”. Scrivono i loro editoriali e i loro libri, ma si ignorano a vicenda. Perché mai dovrebbe ascoltarli il Partito?»
E la spinta dei giovani? Da loro dovrebbero arrivare innovazione e idee dirompenti, anche a sinistra. Non risulta: antifascismo militante, kefiah al collo e vecchi slogan.
«La maggioranza dei giovani non si interessa di politica, quelli che si mobilitano sono meno dell’1%».
La tecnofobia, l’indicazione dei satelliti come pericolo, la scoperta che i “padroni dei dati” sono padroni di tutto, di che cosa ci parlano?
«Confermano la strumentalità di certe riflessioni del mondo progressista. Io sono d’accordo sul fatto che la tecnologia è pericolosa, ma lo è da decenni, se non da sempre: come mai la sinistra scopre il problema solo adesso?»
Lei alcuni anni fa scrisse che la sinistra è antipatica. Lo conferma, oggi? Forse più che antipatica è spesso lunare, rispetto al paese reale…
«Quando, esattamente 20 anni fa, scrissi Perché siamo antipatici?, la sinistra aveva un certo piglio, erano antipatici ma anche a modo loro autorevoli, dotati di un’idea del mondo. Oggi, se proprio dovessi scrivere un nuovo libro, forse lo intitolerei Perché siamo patetici?»
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