La vera arte della politica: tutti sbagliano ma nessuno è colpevole, metterci la faccia è un’utopia

Riuscire a dare la colpa a qualcuno è un atto fondamentale della democrazia. Individuare i responsabili (e quindi i colpevoli, oggettivamente) consente di favorire la partecipazione alla vita sociale e istituzionale. La conseguenza sgangherata è quella del “piove, governo ladro”. Ma almeno con questo approccio qualunquistico si riconosce, a torto o a ragione, il destinatario di un problema irrisolto. Oggi sembra persino impossibile rifugiarsi nella giaculatoria anti-governativa più praticata. Perché? Perché nessuno sembra più responsabile di nulla.

C’è la crisi internazionale con il mandato di cattura del leader israeliano Benjamin Netanyahu? Intervengono i ministri della Difesa e dei Trasporti. Il titolare della Farnesina deve fare un comunicato ad hoc per ricordare competenze e responsabilità. C’è l’ennesimo sciopero dei trasporti, che mette in ginocchio la libertà di movimento di milioni di italiani e il ministro preferisce parlare di immigrati e di Nutella, oltre che di Israele.

Certamente l’universo social favorisce i depistaggi di comunicazione, ma i giornalisti cani da guardia forse potrebbero essere più vigili, per tentare di restare sul punto. Non è un invito a marcare stretto il governo Meloni, ma ogni governo. Invece il battutismo è sempre ammesso, anzi, talvolta suggerito, sperato. Anche da chi aveva, un po’ pomposamente, annunciato che avrebbe parlato solo con i fatti. Sì, parliamo di Mario Draghi, il cui aplomb british non gli ha impedito di percorrere i mesi del suo esecutivo dei “migliori” come qualunque altro inquilino di Palazzo Chigi. E che dire del premier in loden, Mario Monti, che si piegò a utilizzare il cagnolino Empy, salvo poi accusare Daria Bignardi di averlo costretto – a sua insaputa: l’espressione va bene per tutto, per un appartamento con vista Colosseo, come per un animaletto posato in grembo durante un talk show – all’esibizione.

Quando poi i ministri competenti – ahimè, ecco di nuovo Matteo Salvini – intervengono nella loro materia si sentono rimproverare da oltre Atlantico. Nel caso della nuova regolamentazione sugli Ncc non è Elon Musk a dire la sua sui giudici italiani, ma fonti dell’amministrazione Usa che esprimono preoccupazione in particolare per il decreto Salvini sul servizio di noleggio con conducente. Sarebbero norme di impedimento per le startup del settore e in particolare “le prenotazioni in tempo reale di Uber” perché le norme impongono un tempo di attesa minimo di 20 minuti per i clienti e nuove regole per le registrazioni. Per gli americani queste norme potrebbero mettere “fuori mercato” le piattaforme più innovative. Si sa, la concorrenza è un punto debole. La libertà del mercato resta un’utopia anche per chi evoca liberismo in economia. E ancora una volta il cittadino ha tutti i motivi per restare disorientato.

Confesso che un po’ di disorientamento potrebbe derivare dalla sovraesposizione mediatica del Quirinale. Se la presenza del capo dello Stato all’assemblea Anci ha un evidente contenuto istituzionale, il suo intervento all’assemblea di Confesercenti crea un minimo di spaesamento: siamo nell’area del mercato, non delle istituzioni. Il garante della Costituzione perché deve rampognare un privato (anche se influente) cittadino Usa in quanto contesta i giudici italiani, ma non si sente di dover condannare le frequenti manifestazioni di errore e di parzialità da parte di molti magistrati italiani?

Un disorientamento che i cittadini vedono riprodursi anche in ogni occasione elettorale. Le recenti consultazioni in Liguria hanno visto il candidato Pd, Andrea Orlando (sconfitto di misura), proporre una riforma delle pensioni, come se il governatore di una Regione avesse questo come mandato e responsabilità. Nel caso suo, peraltro, avrebbe potuto occuparsene durante il periodo in cui è stato al ministero del Lavoro, ma allora non sarebbe andato fuori tema. Che gusto c’è?

Sgrammaticature istituzionali che i partiti non sanzionano e che i giornali non rilevano. I primi ormai privi di percorsi democratici di confronto si affidano alle personalizzazioni, più o meno efficaci; gli altri (i media) ormai hanno ridotto l’infotainment in puro entertainment, spogliandosi, a loro volta, della loro responsabilità professionale specifica. Questa diffusa de-responsabilizzazione potrebbe non incidere sull’umore dei cittadini? Certo che incide. E lo si vede ogni volta che si torna a votare. L’affluenza del 46,4% alle elezioni regionali in Emilia-Romagna è più di un campanello di allarme. È una campana a morto. È la Regione della leader nazionale del Pd, è la Regione di Peppone, è la Regione dell’impegno sociale e politico, è la Regione della “partecipazione”. Una volta. Ma in questo contesto la svogliatezza che si manifesta verso l’urna elettorale non può più sorprendere. Non si riesce più nemmeno a imprecare “piove, governo ladro”.