Le scelte
La vera transizione energetica non ammette pregiudizi ideologici
È in corso a Torino il G7 Energia e Ambiente, che è stato preceduto dalla planet Week, una settimana ricca di eventi in tema di lotta ai cambiamenti climatici, sicurezza dell’approvvigionamento energetico, sostenibilità ambientale ed economica. Una serie di incontri, tavole rotonde, convegni su quello che chiamiamo da almeno 30 anni il trilemma energetico, ovvero il rompicapo di soddisfare la fame di energia di oltre 8 miliardi di abitanti del mondo – che si avviano a 10 e forse 12 – in modo economicamente e ambientalmente sostenibile.
Più di recente abbiamo preso a parlare di transizione energetica e più in generale ecologica, motivandola con la “crisi climatica”. E a proposito c’è chi vorrebbe tutto subito, costi quel che costi, sia in termini economici che sociali; chi invece frena, lamentando il rischio che venga meno la sostenibilità sociale; e c’è pure chi ritiene che nessuna transizione sia necessaria, poiché i cambiamenti climatici non sono di origine antropica. Una discussione che assume spesso i contorni della disputa ideologica, accesa sino all’insulto.
La cartina tornasole
A me pare che tutto sia riconducibile e riconciliabile con una sola parola: tecnologie. Le tecnologie, sia sul lato della fornitura che dei consumi di energia, sono l’unica via per giungere a una soluzione sostenibile, e – a ben guardare – pure una cartina al tornasole per distinguere chi è genuinamente interessato a trovare veramente la soluzione da chi punta invece ad altro. Non a caso le tecnologie di cui parliamo vengono distinte in “abilitanti” o “idonee” alla transizione, da una parte, e “da abbandonare” dall’altra. Cominciamo dalle seconde: le tecnologie che impiegano fonti fossili e dunque emettono anidride carbonica. Dati alla mano, petrolio, carbone e gas naturale rappresentano oggi il 77% della domanda mondiale di energia primaria (utilizzando per il calcolo il cosiddetto metodo di sostituzione che aumenta il “peso” delle rinnovabili elettriche in termini di energia primaria) esattamente come nel 2000. Solo che, in termini assoluti, il consumo di petrolio è aumentato del 23%, quello di gas del 64% e purtroppo del 64% anche quello di carbone, il combustibile peggiore dal punto di vista delle emissioni di CO2, ma anche per l’inquinamento atmosferico (e le conseguenti gravi malattie respiratorie). Infatti le emissioni di anidride carbonica non accennano a diminuire. E il restante 23% è tutto fatto di tecnologie abilitanti la transizione? Sì e no, perché Il 6% è biomassa tradizionale, unica fonte disponibile per i Paesi più poveri, e di quella davvero vorremmo farne a meno.
Gli scenari
La cosa interessante è che, tolte le biomasse povere, il resto è composto da tecnologie e fonti a basse emissioni per la generazione di energia elettrica (nell’ordine, idroelettrico, nucleare, eolico e solare). E queste sì sono abilitanti la transizione. Infatti tutti gli scenari di lungo periodo (al 2050-2060) a emissioni nette nulle mostrano che i consumi finali di energia (quelli che alimentano in definitiva le nostre fabbriche, i nostri mezzi di trasporto, i nostri edifici domestici e terziari) saranno elettrici (veicoli elettrici, riscaldamento e condizionamento elettrico, cottura elettrica) molto più di oggi (dall’attuale 21% circa sino a oltre il 50%). Inoltre, dove non è possibile elettrificare, si prevede di utilizzare gas “sintetici” ottenuti a partire da idrogeno, a sua volta prodotto da elettrolisi, quindi con ulteriore consumo di energia elettrica.
La domanda destinata a crescere
Insomma, la domanda elettrica crescerà sino a più del doppio di quella attuale, nei Paesi sviluppati; molto di più nei Paesi oggi in via di sviluppo che auspicabilmente a quella data saranno arrivati al nostro livello di benessere. E tutta l’energia elettrica necessaria dovrà essere generata senza emissioni di CO2. Tuttavia oggi il 61% dell’energia elettrica è da fonte fossile (36% a carbone, 22% a gas 3% a petrolio), il 27% da tecnologie a bassa emissione dispacciabili (idroelettrico, nucleare e biomasse), l’11% da tecnologie a bassa emissione intermittenti/non-dispacciabili (eolico e solare). Al 2050-2060 tutta l’energia elettrica dovrà essere generata con tecnologie a bassa emissione. Ma soddisfare la domanda elettrica significa rendere disponibile in ogni istante potenza elettrica pari a quella richiesta da tutti i carichi; risultato che diventa improbo se si dovesse disporre di fonti prevalentemente non dispacciabili, cioè fotovoltaico ed eolico. Discutere di tecnologie abilitanti la transizione energetica e in definitiva la decarbonizzazione significa esattamente questo: individuare il mix migliore di tecnologie a bassa emissione, dispacciabili e variabili, che consentano di soddisfare l’ingente domanda elettrica attesa al 2050-2060, senza emissioni di CO2, nel modo più sostenibile. Cioè, con la minima occupazione di suolo, il minimo impiego di materiali per la costruzione di tutti gli impianti e infrastrutture (impianti di generazione e di accumulo e reti di trasmissione e distribuzione) e il minimo costo totale di tutto il sistema.
Il peggior ostacolo
Di questo si è discusso anche a Torino, in alcuni degli eventi della Planet Week a cui ho partecipato. Nei quali – devo dire con soddisfazione – tutti i partecipanti, di ogni Paese, hanno contribuito con numeri e dati oggettivi. Si respirava un’aria nuova, anche tra europei, e le tecnologie sono state trattate unicamente per le loro caratteristiche e la loro efficacia. Ascoltare francesi, italiani, inglesi, canadesi “parlare” la stessa lingua, quella della razionalità e della scienza, e citare nucleare, idroelettrico, solare ed eolico unicamente in ragione delle rispettive potenzialità e limiti, senza pregiudizi, tutti consapevoli che il nemico comune sono le emissioni, è stata un’iniezione di fiducia. Anche in Europa riusciremo a rimuovere il peggior ostacolo nella lotta ai cambiamenti climatici: i pregiudizi ideologici che impediscono le scelte ottimali. Quando le scelte di politica energetica deriveranno da scenari e analisi di impatto, basati esclusivamente su parametri oggettivi, allora la transizione energetica la faremo davvero. Le prossime elezioni saranno determinanti in tal senso: abbiamo bisogno che in Parlamento europeo siedano persone competenti ed esperte, capaci di assumere decisioni razionali.
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