“Per la prima volta dalla Peste Nera del 1300, la popolazione mondiale è destinata a diminuire. Ma, mentre la precedente implosione demografica fu causata da una malattia mortale trasmessa dalle pulci, quella imminente sarà interamente dovuta alle scelte fatte dalle persone”, come scrive Nicholas Eberstadt in un illuminante saggio su Foreign Affairs.
Attenzione, dunque, alle illusioni su questo tema.
Secondo l‘Unpd (United Nation Population Division), già nel 2019 – alla vigilia della pandemia di Covid-19 – almeno due terzi della popolazione mondiale viveva in paesi al di sotto del livello di sostituzione. Tutte le aree, eccetto l’Africa subsahariana, sono già oggi vicine o sotto il tasso di sostituzione.

Le scelte delle donne, spesso sottovalutate, sembrano essere alla base di tendenze difficili da invertire. Non ci sono politiche demografiche, come le intendiamo ora, che possano frenare o invertire questo fenomeno. Non siamo pronti a gestire un mondo dove potremmo anche stare meglio, ma crediamo che debba esserci un “nemico”. Tuttavia, dove e quando (come negli Usa) i flussi migratori sono stati gestiti bene, hanno creato prosperità ed equilibrio.

Oggi è quasi impossibile metterci mano: una potente spinta anima tutte le forze verso la chiusura. Anche chi ha avuto la possibilità economica, tecnologica e sociale di integrare i flussi si trova meglio rispetto a chi non l’ha fatto. Eppure la sovranità territoriale, la difesa dei confini e del benessere sono importanti, tanto più quando le aspettative di miglioramento sono deluse.
Perché allora Trump? L’arma dell’invasione ha catalizzato fattori diversi. La popolazione è largamente scontenta della situazione attuale. Non è solo una percezione, sono fatti: la vita costa troppo, le politiche di “azione (discriminazione) positiva” si sono esaurite e sono diventate divisive e regressive. Questo tema, inizialmente pensato dalla destra, è stato poi confermato dalla sinistra, rafforzando il movimento anti-woke. Pronomi obbligatori, cancel culture, bandiere palestinesi, antisemitismo. Anche una parte degli innovatori ha mostrato atteggiamenti conservatori: è la linea rossa che passa anche tra Musk, i nuovi profeti dell’AI e Crypto, da un lato e le Big Tech, “tradizionali” dall’altro che sono state a guardare. Certo le “tecnologie sociali” hanno fatto il resto anche male utilizzate, ma qui viviamo, l’infosfera è il nostro ecosistema.

Stato di guerra permanente.

Il mondo è in uno stato di guerra permanente, che riguarda tutti, ma non in eguale misura. Trump, forse, nella sua furia, ha capito meglio di Biden, promettendo la fine delle guerre, anche se non può mantenerla. In Europa, non sappiamo come convivere con la situazione, come sopravvivere, come difenderci per diffondere stabilità e pace. La pace attraverso la forza appare più credibile di altre ipotesi, anche se non dovesse dare frutti immediati. L’Europa dovrebbe crescere e rafforzarsi perché le crisi più gravi – in Medio Oriente e Ucraina – la riguardano più direttamente rispetto agli Stati Uniti. La Nato è un’alleanza, non una consolazione.

Stato di adattamento.

L’alluvione di Valencia dovrebbe renderci tutti (tranne le vittime, che hanno il diritto all’indignazione) più ragionevoli, dinamici e costruttivi sull’ambiente. La presunta guerra tra negazionisti e ambientalisti deve finire; così come lo scontro tecnico-ideologico su rinnovabili, nucleare, gas e idrogeno. Serve tutto e bisogna partire da ciò che è più immediato: come ridurre le emissioni di metano, la “Cenerentola” delle nostre preoccupazioni, ma il modo più rapido per ridurre i danni e mitigare gli effetti.
È un peccato che l’Italia, hub “presidenziale” del Mediterraneo e dell’Africa, abbia smesso di parlarne proprio ora che l’Unione Europea ha legiferato: meno emissioni di metano è uguale a più ricchezza per tutti, anche per gli esportatori. L’accento dovrebbe essere sulle soluzioni: sostenere la mitigazione degli effetti e la necessità di “governare il territorio” per renderlo più resiliente, assieme ai cittadini e alle attività umane.

Sul tema ambientale, non ci sono solo tragedie definitive, ma anche ingiustizie crescenti, e non esistono soluzioni magiche per lo spopolamento o per i cambiamenti climatici. Saremo a lungo in emergenza, ma ci sono tante soluzioni tecnologiche alla nostra portata. Perché non lavorarci? Non serve una guerra tra ideologie e tecnologie: nucleare, rinnovabili, riduzioni delle emissioni nell’industria e nei consumi devono essere alleati, non nemici, se ogni parte viene “governata con giudizio”.
No, non siamo alla vigilia di un’età dell’oro, ma nemmeno alla fine del mondo. Siamo sempre noi, in un mondo in movimento, che ha bisogno di noi.

Massimo Micucci

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