Trump non ha sconfitto la sinistra e non ha portato alla vittoria la destra.
Il tycoon è il primo politico in Occidente a dare voce e rappresentanza ad un popolo trasversale, da tempo ormai congedatosi dal vecchio teatrino della politica. Un teatrino noioso e vacuo dove si continua a fingere conflitti inesistenti: proletariato contro borghesia, progressismo contro conservazione, eguaglianza contro libertà.
Trump non sta minacciando la democrazia (anche se occorre sempre tenere gli occhi ben aperti, indipendentemente da chi vince e chi perde), le sta dando una torsione antropologica e valoriale per renderla più appetibile a quel popolo trasversale che lo ha votato.

La “nuova” visione del mondo

Nemmeno più la categoria di “populismo” può esserci utile per comprendere quanto sta avvenendo. Non è o non è soltanto una particolare forma politica del rapporto che si stabilisce tra un leader e il proprio elettorato. È un orizzonte di senso, una visione del mondo che non ha più nulla a che vedere coi vecchi nazionalismi o sovranismi o, nel caso americano, col vecchio isolazionismo. Ma è qualcosa di pienamente integrato con la globalizzazione e con il mondo digitale che la permea.

Non è la nostalgia di un mondo perduto o il desiderio di una nuova età dell’oro. Ma è l’euforia di chi avverte di avere finalmente voce in capitolo e di chi si sente, a modo suo, protagonista in uno scenario che prima gli appariva ostile e opprimente.

Quello che la politica tradizionale non percepisce

C’è, dunque, una società diffusa che la politica tradizionale non percepisce, fatta di innumerevoli debolezze individuali che vorrebbero contare in una democrazia che sia in grado di adattarsi al loro ingresso nella scena pubblica.
Prendere atto di questa realtà, che da decenni covava nei sotterranei della nostra società e che oggi è esplosa in forma così eclatante, significa predisporsi ad una riflessione approfondita oltre che ad un bagno di umiltà. Le domande che i riformisti dovrebbero farsi sono tante. Ma quelle prioritarie sembrano essere due: come adeguare le democrazie liberali nei diversi contesti nazionali e come pensarle ai livelli sovranazionali per dare piena “cittadinanza” a chi ritiene di esserne privo? Quali forme partecipative e comunicative costruire per rendere effettiva tale “cittadinanza”?

Alfonso Pascale

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