“Se la parola sinistra ha ancora un senso”. Così Claudio Martelli conclude la sua intervista a Walter Veltroni. Sulle pagine del Corriere si incontrano gli ex due golden boys del Psi e del Pci-Pds, coloro che avevano intuito per tempo che certe parole erano candele consumate che scaldavano sempre meno cuori. Servivano solo a rassicurare i residui militanti e a riempire i pastoni politici dei giornali. Dopo vari decenni e varie repubbliche, siamo ancora lì. Destra, sinistra e il centro che non c’è. La gamba moderata di qua e il “senza di noi non si vince” di là. La sceneggiata bipolare e il gioco delle parti nelle coalizioni, dove europeisti e putiniani, rigoristi e fan del Superbonus fingono di giocare nella stessa squadra. Le categorie della politica restano immobili, come sospese nel tempo.

Lo scenario

Potremmo essere nel 1980 o anche un secolo prima, e poco cambierebbe. Solo che oggi questi richiami della foresta attirano sempre meno persone. Gli elettori sono stabilmente attorno al 50%, e nessuno pensa più che un qualsiasi referendum possa raggiungere il quorum. Eppure si rovista sempre nello stesso repertorio di parole d’ordine. E più si alzano i toni, meno si sollevano gli animi. La presidente del Consiglio si sente impegnata in un eterno comizio di opposizione, difende i suoi cari e attacca gli avversari come in un immaginario assedio. La leader dell’opposizione ostenta lo sgomento dell’indignata permanente: i reazionari sono all’opera, la libertà e i diritti sono in pericolo, la mobilitazione è d’obbligo. La patria, lo sviluppo, la giustizia o la rivolta sociale, lo sciopero generale o i gazebo per il prode capitano. Gli slogan fioccano, ma animano nulla di più che talk show per fedelissimi, recitati nell’indifferenza generale.

Aspiranti federatori

Poco di diverso, purtroppo, nel partito che non c’è, che oggi si identifica con una nuova forza di centro, liberale, riformista o come la si voglia definire. Per un Luigi Marattin che perlomeno percorre la strada della proposta e della costruzione dal basso, la scena è occupata da aspiranti federatori che pontificano sui giornali. O meglio, agitano il loro piffero magico come se i topolini non attendessero altro: ma cosa aspetta Ruffini? Sala si decide o no? E Prodi lo capisce che il popolo freme dalla voglia di rivederlo in campo? La realtà è che tutti questi soggetti sono creature di laboratorio che parlano di loro, fra di loro e sempre ai soliti noti.

La grande ZTL

Viviamo nell’epoca di una grande ZTL, di destra e di sinistra. Un “centro storico” di cittadini iperprotetti, tutelati in primo luogo dall’anagrafe e poi dalle posizioni sociali ed economiche raggiunte. Una destra e una sinistra che si dividono sui dettagli ma convergono su una visione statalista fatta di spesa pubblica e debito. Dietro e fuori questa zona a traffico limitato si muove un pianeta di esclusione sociale informe ma sempre più affollato. Categorie tagliate fuori o deluse, in ogni caso non raggiungibili dalle sirene del Palazzo. Come dei “neet” della politica, non hanno rappresentanza né la cercano più. È per molti versi l’esito obbligato di un fallimento, come un riflusso dopo la grande illusione. Fino a pochi anni fa il potere degli esclusi si chiamava populismo. È stato per almeno 25 anni la scorciatoia dei vari capipopolo che promettevano la luna e costruivano un rapporto diretto fra il leader e le persone ai margini del benessere, del welfare, della partecipazione. Silvio Berlusconi lo seppe fare con maestria, innestando il culto della sua persona su un progetto politico erede del pentapartito, cioè dell’alleanza fra cattolici, liberali e socialisti riformisti. Quello che è venuto dopo si è invece bruciato nel breve volgere di una stagione.

Le stelle schiantate

Negli anni ’10 di questo secolo, il troppo personalismo e l’ubriacatura da consenso hanno reso effimera la stella di Renzi e di Salvini. Non è un caso che entrambi si siano schiantati nel presumere troppo da sé stessi. Il progetto riformista del leader di Italia Viva è stato polverizzato nel referendum sulle riforme che il giovane Matteo volle trasformare in un referendum sulla sua persona. Il progetto sovranista del segretario del Carroccio si è infranto sul delirio di grandezza del Matteo che – a torso nudo al Papeete – reclamava i pieni poteri. Poi il capolavoro sembrò realizzarsi grazie alle doti istrioniche di Beppe Grillo al servizio del genio creativo di Gianroberto Casaleggio. Cosa c’era di più suadente, per le legioni di cittadini alla periferia dell’Impero, che sentirsi dire che loro erano fuori dai giochi per la cospirazione degli ottimati? Basta, da oggi uno vale uno e il Parlamento sarà rivoltato come un calzino. Anche qui, però, il populismo ha presto sbattuto la testa sulla pretesa di governare senza progetto né preparazione. Al punto che il primo venuto, incoronato presidente del Consiglio più o meno a sua insaputa, non appena ha appreso i rudimenti del mestiere ha normalizzato il partito e ha estromesso il fondatore.

La ZTL della politica

Il malcontento di lavoratori precari, disoccupati, piccole imprese schiacciate dalla globalizzazione o giovani senza prospettive resta oggi senza sbocchi. A prosperare è solo la ZTL della politica. Nella sua versione di sinistra comprende intellettuali, professionisti garantiti, dipendenti pubblici, frange residue di sindacalismo o di agitazionismo metropolitano. La passione di questo campo largo e vago sono i temi etici e i diritti civili, con frequenti spruzzate di mobilitazione contro il fascismo che non c’è. Chi vive una quotidianità fatta di fatica, insicurezza economica e senso di abbandono guarda i “progressisti” come un mondo lontano e ostile. Poi c’è la versione di destra, oggi piuttosto tronfia perché al governo sotto l’ala protettrice della Meloni. Qui bazzicano imprenditori protetti, i piccoli e medi borghesi che riescono a eludere gli obblighi fiscali, e soprattutto un mondo che si appella alle “tradizioni” come rifugio identitario. Ma che se ne fanno delle filippiche sulla patria i giovani con contratti a termine, gli immigrati di seconda generazione, le donne penalizzate da un sistema di welfare insufficiente o i pensionati con assegni minimi? Chi sconta ogni giorno un sistema sanitario, dell’istruzione, dei trasporti sempre più insufficiente, non ha tempo né voglia per scegliere fra versioni diverse dello stesso recinto e dello stesso vuoto.

I contorni del progetto

Il popolo di chi non vota parla con la sua assenza. Ma la calma del potere è solo apparente. Chi saprà restituire al paese un progetto che abbia i contorni del “sogno concreto” farà risvegliare dai loro sogni astratti gli attuali protagonisti. Si accaniscono su temi di bandiera, animano i derby di periferia fra poveri e immigrati, vantano riforme fiscali che fanno il botto solo sul lato dei condoni. Sono tutti, ormai, minoranze amplificate dal non voto, e fingono di non vedere che vincono una partita che non si sta giocando più. Viene in mente il grande Nino Manfredi nel film cult “Café Express”. “Scusate, voi siete cattolico?”. “No, io so’ disoccupato”.