I dati
L’abuso di ufficio paralizza tribunale e comuni, caos in Campania

La macchina della pubblica amministrazione come quella della giustizia. Procedono a passo lento, lentissimo. Sono appesantite da una burocrazia eccessiva, da indagini e processi che durano un tempo lunghissimo, dai facili ricorsi che possono innescare meccanismi perversi. Eppure snellire l’una e l’altra macchina consentirebbe al Paese di rimettersi al passo in tutti i settori, di conseguire risultati positivi di sviluppo e di competitività, di garantire servizi secondo criteri di efficacia e di efficienza. A livello nazionale come a livello locale. Immaginate Napoli e la sua provincia con una giustizia in grado di dare risposte tempestive ed efficaci, tribunali che garantiscono processi in tempi ragionevoli, e con una pubblica amministrazione fattiva ed efficiente? Sarebbero sicuramente lontane dal pantano in cui sono arenate, dall’incuria in cui sono lasciate, dall’inerzia e dalle lungaggini che frenano ogni iniziativa. Depenalizzare per molti è una delle soluzioni possibili, per alleggerire la macchina della giustizia.
E sul fronte della pubblica amministrazione, oltre a semplificare e snellire la burocrazia, le proposte vanno nella direzione di riformare quei reati che finiscono per condizionare l’andamento della vita pubblica. L’abuso d’ufficio è uno di questi. È il reato che si verifica quando un pubblico ufficiale, nell’esercizio delle proprie funzioni, in contrasto con leggi e regolamenti, produce un danno o un vantaggio patrimoniale. In questi giorni è al centro della riforma che, contenuta nel decreto semplificazioni, punta a circoscriverlo per non abolirlo. È tra i reati che causano più paralisi fra gli amministratori pubblici se è vero, come riportano alcune statistiche, che molti pubblici ufficiali preferiscono non decidere piuttosto che correre il rischio di finire travolti da qualche inchiesta della Procura.
Inchieste che nascono rapidamente e con poco, con un esposto, una segnalazione, una denuncia, e si trascinano per anni, spesso senza arrivare ad alcun risultato. Dai dati raccolti dall’Anci, l’associazione nazionale Comuni italiani, emerge che solo il 2% dei procedimenti si conclude con una sentenza di condanna definitiva. È come una goccia nell’oceano di fascicoli aperti nelle varie Procure italiane. Negli ultimi dieci anni se ne sono contati più di 100mila, un numero elevatissimo di fascicoli per ipotesi di abusi d’ufficio. Nel 60% dei casi si dissolvono in un nulla di fatto, tanto che è lo stesso pubblico ministero a chiedere il proscioglimento. C’è poi un 20% di fascicoli che si estingue davanti al giudice dell’udienza preliminare e un 18% che finisce al vaglio dei giudici in dibattimento portando poi, nella maggior parte dei casi, a sentenze di assoluzione. Infatti solo il 2% dei processi si chiude definitivamente con una sentenza di condanna. Sono dati che impongono serie riflessioni. E il quadro napoletano e campano non è molto dissimile da quello nazionale.
Negli ultimi dieci anni si calcolano oltre 7mila procedimenti avviati dai pubblici ministeri per ipotesi di abuso d’ufficio: solo meno di 100 sono arrivati a giudizio. La forbice tra le azioni penali esercitate e le sentenze di condanna è dunque enorme. Eppure il controllo di legalità sull’esercizio dei poteri di amministratori e funzionari pubblici dovrebbe bilanciarsi decisamente meglio con l’esigenza di fornire risposte efficaci e dovrebbe evitare che la funzionalità della pubblica amministrazione sia influenzata dallo stress di indagini eccessivamente lunghe, o non necessarie.
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