Ha suscitato sconcerto l’annuncio del premier inglese Boris Johnson di avere concordato con la Repubblica del Rwanda un Memorandum per inviare in tale nazione parte non meglio precisata dei futuri richiedenti asilo che giungeranno nel Regno Unito. Di cosa si tratta? Sul sito ufficiale del Governo di Sua Maestà è possibile in effetti leggere il testo di un Memorandum tra il Regno Unito e il Rwanda adottato in data 14 aprile 2022 in base al quale “considerato che i migranti e i rifugiati compiono viaggi pericolosi attraverso le frontiere e persino gli oceani in cerca di sicurezza e opportunità economiche, fuggendo da conflitti armati, carestie, cambiamenti climatici e altre difficoltà che hanno incontrato nei loro paesi d’origine e che il movimento di massa di migranti irregolari organizzato dai trafficanti di persone sta sopraffacendo il sistema internazionale di asilo” e volendo dunque “contrastare il modello di business dei trafficanti di esseri umani, proteggere i più vulnerabili, gestire i flussi di richiedenti asilo e rifugiati e promuovere soluzioni durature” si conviene tra i due Stati di dare avvio ad un “meccanismo per la ricollocazione dei richiedenti asilo le cui richieste non sono state prese in considerazione dal Regno Unito, in Ruanda, che esaminerà le loro richieste e sistemerà o espellerà (a seconda dei casi) le persone dopo che la loro richiesta è stata decisa, in conformità con il diritto interno ruandese”.

Subito dopo si precisa altresì che “gli impegni indicati in questo Memorandum sono presi dal Regno Unito al Rwanda e viceversa e non creano o conferiscono alcun diritto a nessun individuo, né il rispetto di questo accordo può essere oggetto di ricorso in qualsiasi tribunale da parte di terzi o individui”. Sarà il Regno Unito a determinare “i tempi di una richiesta di ricollocamento (in inglese il termine usato è relocation ndr) di individui in base a questi accordi e il numero di richieste di ricollocazione da inoltrare” al Rwanda. In ogni caso “il Regno Unito sarà responsabile dell’esame iniziale dei richiedenti asilo, prima che il ricollocamento in Ruanda avvenga conformemente al presente accordo”. Tale procedura “inizierà senza indugio dopo che la potenziale persona da ricollocare arriverà nel Regno Unito”. Appena arrivati in Rwanda (il testo del Memorandum non usa il termine deportati ma quello di ricollocati anche se è chiaro che non si tratta di una scelta volontaria come nelle vere ricollocazioni) la richiesta di asilo dei deportati – poiché questa è la loro condizione effettiva – verrà esaminata dal Rwanda “in conformità con la Convenzione sui Rifugiati, le leggi ruandesi sull’immigrazione e le norme internazionali e ruandesi, incluse le leggi internazionali e ruandesi sui diritti umani, e incluso, ma non limitato a garantire la loro protezione da trattamenti inumani e degradanti e dal refoulement”. Sarà quindi il Rwanda ad occuparsi della sorte futura dei deportati, sia che venga loro riconosciuta una qualche protezione, sia nel caso essa venga negata. Nessun rientro verso la Gran Bretagna è previsto in ogni caso.

Dalla lettura del Memorandum possiamo trarre alcune considerazioni di fondo: innanzitutto non si tratta di un accordo finalizzato a trasferire coattivamente i richiedenti asilo in un paese terzo disponibile a fornire un’area extraterritoriale nella quale fare esaminare le domande di asilo da parte della Gran Bretagna, bensì di qualcosa di molto più radicale, ovvero di una procedura attraverso la quale il Regno Unito ritiene di potersi liberare dell’obbligo di esaminare le proprie domande di asilo trasferendo tale obbligo al Rwanda, che lo accetta dietro evidenti compensi o altri favori politici non noti, ma su cui varrebbe senza dubbio la pena indagare, senza che i richiedenti asilo coinvolti nelle operazioni che li riguardano siano considerati soggetti portatori di diritti individuali da rispettare. Nel Memorandum essi compaiono esclusivamente quale merce umana, soggetta al potere incondizionato dei due Stati coinvolti. Nel reagire, per una volta duramente, all’annuncio del Memorandum, l’Unhcr (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) ha sostenuto nel proprio comunicato diramato a livello internazionale che “il Regno Unito ha l’obbligo di garantire l’accesso all’asilo a coloro che cercano protezione […] il Regno Unito, invece, sta adottando provvedimenti che abdicano la responsabilità ad altri e quindi minacciano il regime internazionale di protezione dei rifugiati”.

Per quanto sia connotata anche da un forte richiamo etico, la netta posizione dell’ Unhcr ha innanzitutto un solido fondamento giuridico: non vi sono infatti dubbi sul fatto che sussista la piena giurisdizione della Gran Bretagna sui richiedenti asilo che sarebbero oggetto delle operazioni di ricollocazione coatta in Rwanda in quanto essa si applicherebbe ai richiedenti che giungono sul suolo inglese e chiedono asilo al Regno Unito, Stato che altresì procederebbe persino ad un esame iniziale della loro domanda applicando una procedura di screening che nel Memorandum non viene in alcun modo definita. Avendo solennemente sottoscritto la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951 (e il successivo Protocollo di New York del 1967) la Gran Bretagna non può però semplicemente disfarsi della propria giurisdizione sulle domande di asilo che le vengono presentate, sul proprio territorio o comunque laddove esercita la propria giurisdizione, come se il rispetto delle regole connesse all’esercizio della giurisdizione stessa fosse un fardello inutile di cui disporre a piacere decidendo di quali uomini-merce occuparsi e di quali no.

Ci sono altresì ulteriori assai seri profili di legittimità che sembrano sfuggire a Mr. Johnson e al suo disinvolto Esecutivo ovvero che, anche se uscito dall’Unione Europea – e quindi non più soggetta al diritto dell’Unione in materia di protezione internazionale – il regno di Gran Bretagna e Irlanda del Nord è parte del Consiglio d’Europa, organismo fondato il 5 maggio 1949 con il Trattato di Londra (per ironia della Storia). Come tale ha sottoscritto la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (CEDU) un trattato internazionale volto a tutelare i diritti umani e le libertà fondamentali in Europa (intesa nell’eccezione ben più vasta della sola Unione Europea e che comprende oggi 46 Stati dopo l’uscita della Russia avvenuta a marzo 2022). È infatti opportuno ricordare che la Gran Bretagna ratificò la CEDU nel 1953 e nel 1968 entrò altresì in vigore in Gran Bretagna il quarto protocollo addizionale alla stessa Convenzione.

Agli stranieri che giungono in Gran Bretagna per chiedervi asilo si applicano i principi e le garanzie previste dalla CEDU, sia che l’attuale governo voglia accoglierli con entusiasmo umanitario, sia che li voglia ricollocare/deportare in Rwanda o in qualsiasi altro luogo del pianeta. Pochi dubbi infatti possono sussistere sull’obbligo di applicare l’art.3 della stessa CEDU che vieta il rinvio verso Paesi nei quali le persone potrebbero subire tortura o trattamenti inumani o degradanti. La valutazione se tali rischi sussistono o meno in Rwanda per lo specifico richiedente asilo va attuata sulla base di chiare procedure di legge che prevedano una valutazione caso per caso di ogni singola domanda il cui esito eventualmente negativo è comunque sempre soggetto ad “un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale” (art. 16 CEDU). La stessa privazione della libertà personale con accompagnamento coattivo dalla Gran Bretagna fino in Rwanda non può che avvenire nell’ambito delle procedure e garanzie di cui all’art. 5 della CEDU (diritto alla libertà e alla sicurezza); infine ogni decisione di allontanamento coattivo dal territorio di uno stato aderente alla CEDU deve sempre essere assunta in modo individuale con provvedimento motivato dal momento che, in applicazione del citato quarto Protocollo aggiuntivo alla CEDU, le espulsioni collettive sono tassativamente vietate.

La natura di espulsioni collettive dove non occorrono né motivazioni, né procedure di valutazione individuale è invece proprio ciò che viene affermato in modo chiaro nel Memorandum. Solo un pensiero autoritario che si prefigga di sovvertire i fondamenti dello Stato di diritto può ritenere, che un accordo tra Stati che incide in maniera rilevantissima su diritti e libertà fondamentali e che altresì, come precisato nello stesso Memorandum, “non sarà vincolante per il diritto internazionale”, possa attuarsi senza conferire “alcun diritto a nessun individuo” . Richiamo in conclusione la nauseante retorica con la quale violazioni di diritto macroscopiche e, per certi tratti, persino inimmaginabili vengono apertamente giustificate; è sufficiente presentarle quali misure dure ma necessarie per il bene dei soggetti stessi cui il diritto viene negato. In tale capovolgimento di fini e principi, allo scopo di combattere il traffico internazionale di esseri umani si contrastano le vittime dei traffici e non le organizzazioni criminali in sé, e certo non si modificano normative e politiche che impedendo ai rifugiati di accedere a vie sicure e legali di protezione, li costringono ad affidarsi ai trafficanti quale unico mezzo per porsi in salvo; essi, anche grazie alle nostre scelte, sono da tempo divenuti infatti salvatori e carnefici nello stesso tempo e le tariffe praticate sulla morte e la vita dei loro clienti crescono con l’aumentare delle politiche di contrasto alle migrazioni.

Che cosa ci insegna l’incredibile vicenda del Memorandum tra Gran Bretagna e Rwanda, come la non meno incredibile legge voluta dalla Danimarca sul diritto d’asilo nel 2021, i respingimenti illegali dei richiedenti asilo effettuati dalla Polonia ai suoi confini con la Bielorussia, i respingimenti altrettanto illegali ed attuati con inaudita violenza dalla Grecia verso la Turchia e molte altre situazioni analoghe? Si tratta di situazioni tra loro molto simili che ci ricordano che la violazione dei “diritti degli altri”, quelli dei non-cittadini, può avvenire in modo pressoché invisibile al resto della società e che il tutto può consumarsi nella indifferenza e nell’inazione o nella complicità aperta da parte proprio dei pubblici poteri che sono chiamati a tutelare quei diritti. In ultima analisi la gestione delle migrazioni rappresenta il più importante ed arduo banco di prova degli ordinamenti democratici di oggi e nessuno dei diritti umani universali, proprio nessuno, può dirsi pienamente acquisito, bensì rimangono tutti dei diritti fragili, sempre ad elevato rischio di negazione ed oblio, anche negli Stati dalle tradizioni democratiche più antiche e solide.