Non per essere zelanti su una scivolata, può capitare a chiunque. Ma anche per chi crede nella fecondità degli errori il caso della scelta del candidato alla regione Basilicata è veramente significativo. In un’epoca di crisi profonda della rappresentanza, del ruolo dei corpi sociali e dei partiti, le modalità con cui si ricorre alla “società civile” e cosa è considerata tale ci dice molto sul rapporto tra la politica e la realtà. È una lunga storia che viene da quando il Pci, distinto e distante dal mondo cattolico candidava “il cattolico”, “il medico”, “il professionista”, “il civico” per una messinscena che tradiva l’incapacità vera di dialogo con quel mondo. Oggi, il 90 per cento del dibattito nel centrosinistra è sulle alleanze ma quando serve dare operatività alle coalizioni crolla tutto. Condivido la necessità di generosità dei partiti più grandi di essere “testardamente unitari” ma abbiamo visto che esserlo solamente “perché altrimenti arrivano le destre” fa arrivare proprie le peggiori destre.

L’alternativa

La cronaca di quanto accaduto in Basilicata è surreale. Il Partito Democratico trova un candidato, Angelo Chiorazzo di Senise ma dopo i risultati dell’Abruzzo ripartono i veti. Una volta partiva la fase vera e finta dell’autocritica, ora ci si scanna sull’alternativa penosa se perdere da soli o insieme. Conte mette il veto sul candidato moderato e su Italia Viva e Azione. Il candidato naturale, il 2 volte ex ministro della sanità Roberto Speranza, non ha dato alcuna disponibilità e Chiorazzo accetta il passo indietro a patto di poter decidere lui chi sarà il candidato che lo sostituirà. Una scelta politica che pertanto, dovrebbe essere il risultato di un processo “democratico” di rappresentanza diventa “di proprietà”, una prerogativa del candidato in pectore che molla a patto di decidere lui. Il gruppo dirigente locale non viene neanche interpellato e l’ex candidato viene “indennizzato” con una sorta di “diritto” di disporre della scelta su chi rappresenterà la coalizione. Non solo, si dà l’idea che scorrendo la rubrica telefonica si trovi la prima disponibilità alla lettera “L”. “Lacerenza” è sicuramente un bravo oculista, che a sua insaputa, in pochi minuti diventa il candidato del campo largo. Lo stesso, confessa di non aver mai fatto politica nemmeno per hobby e da subito gli si chiede di fare un passo indietro ma lui tiene il punto.

I precedenti e le roulette delle rubriche personali

Avevamo già visto nel 2022 candidature “forti e rappresentative” rifugiarsi nei listini bloccati ben a distanza dai territori di provenienza. Dirigenti nazionali che (a Roma) dicono che i livelli locali “non rappresentano nessuno” e infatti come scelto dalla segreteria Letta e da tutti gli altri partiti del centrosinistra, le espressioni del territorio finirono negli uninominali “ineleggibili” e i catapultati scelti da Roma nei listini bloccati. E visto lo scollamento totale col Paese ci si affida alla roulette delle rubriche personali. Dal periodo in cui andavano di moda i giornalisti televisivi il mantra della “mancanza di visione” avrà fatto approdare proprio agli oculisti. La situazione è veramente grave e poco seria.

Delle primarie non si ha più notizia

La politica non tornerà ad essere rappresentanza se non ricostruiamo le regole dei partiti. Va applicato con legge l’art.49 (e il 39) della Costituzione. La trasparenza e la democraticità di funzionamento dei processi decisionali, del tesseramento, dell’utilizzo delle risorse, di obbligo di rotazione, non sono “interna corporis” (fatti interni). Devono valere per tutte le forze politiche, anche per interrompere la mutazione progressiva verso “partiti personali”, fan club o comitati elettorali che stanno vivendo le forze politiche. La garanzia di democraticità di un partito dipende da quanto l’applicazione delle regole superi sempre la forza del consenso. Le regole devono valere a prescindere da chi comanda in un determinato momento. Applicarle solo quando confermano il nostro consenso è quanto di più lontano dalla democrazia. La rappresentanza non è un “fatto privato” e la Costituzione riconosce, in modo chiaro, le forme in cui essa si esercita. É incredibile che le decisioni siano in mano a quattro persone. Delle primarie non si ha più notizia e nessuno ha spiegato perché ma nessuno ne ha chiesto conto. Le regole non sono attuali? Si cambiano, le deroghe contingenti o ad personam non fanno parte della cultura democratica, Proprio nel momento in cui bisogna tornare a far bella la democrazia e riconquistare la partecipazione popolare, non ha senso fare quadrato sui passi falsi, serve l’umiltà di non esagerare.