Pur essendo la più vasta regione dell’Uzbekistan, il Karakalpakstan rimane la zona meno visitata del paese.
L’assenza di turisti si può spiegare facilmente: non c’è nulla di convenzionalmente bello da vedere da queste parti. In più, si tratta di una delle regioni più remote d’Asia – arrivare fino a qui non è affatto semplice.
Ho lasciato Khiva, l’incredibile oasi nel deserto dei tempi della via della seta, alle prime luci dell’alba. Dopo quasi sette ore di guida il paesaggio non è mai cambiato: deserto, desolazione e l’occasionale benzinaio. Nessun agglomerato urbano, se non il capoluogo di regione Nukus.
Nemmeno Nukus pullula di attrazioni, ad eccezione dell’insolito museo d’arte che ospita una delle più grandi collezioni di avant-garde al mondo. Perché si trova proprio qui? Semplice! Stalin considerava Nukus l’estrema periferia dell’Unione Sovietica. Tutte le opere d’arte che non assecondavano la sua propaganda sono state trasferite qui, un luogo così remoto che nessuno si sarebbe mai preso la briga di visitare.
Tutto sommato Stalin aveva ragione, non sono di certo venuta fino a qua per un inusuale museo d’arte.
Sono qui per visitare il sito di uno dei più grandi disastri ecologici della storia: ciò che rimane del lago d’Aral, fino a qualche decennio fa il quarto lago al mondo per dimensioni.

Dopo un lungo e monotono viaggio sono finalmente arrivata a destinazione. Ad informarmi di ciò, un cartello sovietico con su scritto “Welcome to Moynaq”. Il cartello è decorato con simboli di pesci, gabbiani e onde. Tutto sembra indicare la presenza di un lago e di un porto.
L’insegna ha più di 60 anni, e si nota: del lago d’Aral non c’è alcuna traccia.
Ad oggi la piccola e spettrale Moynaq si trova a circa 150km di distanza dalle sponde del lago.
Negli ultimi sessant’anni il lago d’Aral ha perso più del 90% della sua area, privando il piccolo porto di Moynaq del suo unico sostentamento.
Fino al 1960 Moynaq era una cittadina di pescatori famosa in tutta l’Unione Sovietica. La maggior parte dei suoi abitanti, ai tempi più di quarantamila, lavorava grazie alla prossimità del lago, come pescatore o come operaio nelle fabbriche che processavano il pescato. A seguito di un progetto sovietico volto a sviluppare l’industria del cotone in Uzbekistan, i due principali fiumi che si riversavano nel lago vennero deviati verso le aride aree circostanti per renderle più fertili e produttive. Dato che la produzione di cotone era diventata una delle attività economiche più profittevoli dell’intera Unione Sovietica, il Cremlino rifiutò di vedere gli effetti che ciò aveva sull’ambiente circostante. Nonostante il piccolo museo di Moynaq sembri indicare il contrario, la situazione peggiorò soltanto con l’indipendenza dell’Uzbekistan.

Oggigiorno, le conseguenze ambientali di questo progetto fallito sono impossibili da ignorare. Un’enorme balconata, nel centro cittadino, offre una vista impressionante su quello che era il lungolago. Ciò che era il fondale marino si estende a perdita d’occhio. Ma è proprio qui che giace la principale “attrazione” di Moynaq: un cimitero di navi sovietiche arrugginite ed ancorate nella sabbia. Attorno a questi ammassi di metallo, un gregge di cammelli cerca un pò d’ombra.
È un panorama terrificante da cui fatico a distogliere lo sguardo. Scendo venti metri di scale -questa la profondità del lago ai tempi- ed arrivo proprio sul fondale. Distese di conchiglie e secche piante marine fanno da contorno a questo paesaggio sinistro.
Ciò che l’occhio non vede, però, è l’enorme inquinamento che il prosciugamento del lago ha causato. Ad oggi, Moynaq è uno dei luoghi più tossici al mondo dove vivere. Quando tira vento le polveri dell’inquinato fondale del lago si riversano sulle aree circostanti. La percentuale di persone che soffre di cancro nella zona è di 25 volte superiore alla media mondiale.
Ed è così che la scomparsa del lago d’Aral ci ricorda che natura ed umanità sono legate inestricabilmente: ogni danno che provochiamo all’ambiente colpirà inevitabilmente l’uomo ed il suo futuro.

Micol Ballerin

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