Il 20 maggio scorso il procuratore della Corte Penale Internazionale, Karim Ahmad Khan, chiedeva l’arresto del primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, e del ministro della Difesa, Yoav Gallant, formulando nei loro confronti questa accusa principale: essi avrebbero organizzato l’assedio totale di Gaza, usando la riduzione alla fame dei civili palestinesi come metodo di guerra.

L’accusa si basava sull’assunto secondo cui la carestia sarebbe stata “presente in alcune aree di Gaza” e sarebbe stata “imminente in altre”. Il mese successivo, un rapporto dell’Ipc (Integrated Food Security Phase Classification) annotava che non c’è stata la carestia che, secondo le rilevazioni precedenti, avrebbe dovuto verificarsi “in ogni momento da oggi (metà marzo 2024) al maggio del 2024”. A quell’altezza di tempo, si sarebbe dovuto trattare di 1.115.000 persone in stato di carestia a livello catastrofico (livello 5 Ipc, il più alto), con circa 3.000 morti per fame ogni settimana. Il rapporto di giugno doveva concludere che “le prove disponibili non indicano che si stia verificando una carestia” e che la somma di dati raccolti “non indica che le soglie di carestia sono state superate”.

I dati sui quali pretendeva di basarsi l’accusa del procuratore della Corte Penale Internazionale erano dunque già improbabili al momento della richiesta di arresto, e si rivelavano decisamente falsi qualche settimana dopo. Si può replicare che può succedere: un pubblico accusatore chiede che qualcuno sia arrestato, e poi emerge che non esistono i fatti sui quali pretendeva di reggersi la richiesta. È un caso di malagiustizia ma, appunto, può capitare. Se però l’accusatore omette o rifiuta di far presente al giudice che lo scenario probatorio si è rivelato diverso, anzi opposto, rispetto a quello rappresentato all’inizio, allora il caso di malagiustizia è duplice: c’è uno che non solo formula un’accusa infondata, ma poi vi insiste inguattando le prove che ne denunciano l’infondatezza.

Messo di fronte al rilievo che la sua accusa di “provocata carestia” appariva stralunata già quand’era svolta, e appare del tutto inconsistente alla luce dei successivi riscontri, il signor Karim Ahmad Khan ha fatto sapere che lui “in questa fase” non può sottoporre alla Corte ulteriori evidenze. Il che non gli ha impedito, giusto l’altro giorno, di sollecitare la Corte ad emettere i mandati di arresto nei confronti di quei vertici israeliani. Israele ha duramente, e non da oggi, denunciato il solco di parzialità in cui ha fatto mostra di muoversi il prosecutor. Diciamo che lui non ha lavorato sodo per dimostrare il contrario.