La riflessione del pm anticamorra
L’America ci dimostra perchè la riforma Cartabia non può bastare

Secondo l’analisi basata sui dati forniti dal Ministero della Giustizia, nel 2020 è stato rilevato un ulteriore rallentamento della durata dei processi penali. In base al Disposition Time – ossia l’indice che la Commissione europea per l’efficienza della giustizia (Cepej) ha individuato con l’obiettivo di monitorare il lavoro dei Tribunali – si osserva, tra il 2019 e il 2020, un allungamento del 22,4% della durata media dei processi, essendosi passati dai 337 giorni del 2019 ai 413 del 2020. Il dato rappresenta un trend costante del nostro sistema processuale. Nonostante gli innumerevoli interventi normativi, sembra che nessuna riforma sia in grado di invertire la tendenza alle lungaggini processuali. Proviamo a spiegare quali sono le cause di questa situazione.
Come abbiamo già avuto modo di osservare dalle colonne di questo giornale, il sistema statunitense – dal quale nel 1989 fu mutuato in Italia il processo accusatorio – si basa su tre capisaldi che, se da un lato ben rappresentano il tipico pragmatismo americano, dall’altro lato danno l’idea di quanto quel sistema sia alieno dai bizantinismi italiani. Quei capisaldi sono costituiti dalla discrezionalità dell’azione penale, dalla inappellabilità delle sentenze e dalla natura del verdetto pronunciato dalle giurie americane.
Partiamo dalla prima. Nella tradizione anglosassone l’azione penale rientra nelle valutazioni discrezionali della pubblica accusa che decide se coltivare o meno la persecuzione penale in base a un calcolo di priorità tra i reati, ovvero di convenienza nella raccolta della prova per i reati più gravi, in base a una stima di natura economica tra costi e benefici. Al contrario, quando I’azione penale è obbligatoria come in Italia, è escluso che il pm possa discrezionalmente decidere se investire o meno il giudice della notizia di reato.
Ovviamente, la possibilità per la pubblica accusa di perseguire o meno un reato incardina in capo al pubblico ministero una responsabilità di natura tipicamente politica che è incompatibile con il nostro attuale assetto costituzionale. Sempre per quanto riguarda l’Italia, alla obbligatorietà dell’azione penale bisogna poi aggiungere l’atavica tendenza alla proliferazione delle fattispecie di reato, un fenomeno storicamente legato alla cultura dell’emergenzialismo degli anni di piombo, ma anche alla eccessiva ideologizzazione politica, tipica del nostro Paese, che porta spesso a utilizzare il diritto penale a mo’ di clava contro l’avversario politico. Il secondo caposaldo del sistema accusatorio americano è poi costituito dalla inappellabilità delle sentenze pronunciate dai giudici di primo grado.
Nel modello di processo angloamericano, al giudizio di appello non si perviene mai per rivedere “in toto” quello di primo grado, ma solo per porre rimedio agli eventuali errori di diritto o di procedura. Nel nostro sistema, invece, l’appello è uno strumento di rivalutazione completa dei fatti da parte di un giudice a cui è consentito di riesaminarli da capo attraverso la sola lettura delle carte. Il terzo caposaldo del sistema anglosassone è, infine, il verdetto. Soprattutto tale ultimo aspetto incide non poco sulla durata dei processi. Mentre le sentenze italiane hanno infatti motivazioni di solito molto articolate, negli Stati Uniti l’atto finale del processo è il verdetto pronunciato dalla giuria popolare che non deve essere motivato.
In altri termini, quindi, il processo penale italiano non solo moltiplica il numero dei reati e impone l’obbligo di perseguirli tutti senza eccezioni, ma pretende pure di assicurare a ogni reato e al relativo autore un triplice grado di giudizio che è sostanzialmente estraneo alla struttura del processo accusatorio, imponendo al giudice di motivare espressamente qualunque decisione egli prenda, non importa se si tratti di un processo per strage o per guida senza patente.
Questi sono i motivi per i quali la riforma Cartabia non inciderà sull’attuale situazione, lasciando ancora una volta immutate le cause strutturali del problema che richiederebbe, invece, interventi di ben più ampio respiro, soprattutto a livello di riforme costituzionali. Le ragioni della crisi sono troppo profonde e complesse per poterne affidare la soluzione a “mini-riforme” di carattere settoriale o declamatorio, ovvero meramente abolitivo, come vorrebbero invece i promotori dei quesiti referendari.
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