Ogni rivolgimento di regime in Russia è sempre partito dall’interno delle sue viscere
L’analisi di Gennaro Migliore: “In Russia nessuna rivoluzione, ma un conflitto tra due signori della guerra”
Riceviamo e volentieri pubblichiamo un intervento di Gennaro Migliore, già Deputato.
In una notte di grandi bevute, la storia si ripete, se non ancora in tragedia, ma sicuramente in farsa. Le notizie del tentativo di colpo di Stato orchestrato da Prigožin si rincorrono confuse su tutti i social, a partire da quel Telegram, il social preferito dai Wagner, di fattura russa e abbondantemente utilizzato per controllare i flussi informativi più disparati, dai Novax fino ai filo putiniani, garantendo un flusso di propaganda e ‘disinformatia’ costante.
Nel momento in cui scrivo questo articolo la soldataglia di Wagner ha preso il controllo di Rostov, la base operativa dell’aggressione militare russa contro l’Ucraina. L’hanno presa perché, come riferito da più fonti, la maggior parte dei soldati era impreparata a reagire a un’offensiva sul territorio russo, in particolare durante la notte del venerdì, consacrata alle ubriacature più feroci, quelle che lasciano vagare senza una precisa coscienza di sé; sono i famigerati ‘zapoi’ che abbiamo imparato a conoscere in uno dei più straordinari libri sul disfacimento del sogno russo, la biografia di Eduard Limonov, che non sono semplici ubriacature ma terribili metafore di una nichilistica ricerca di evasione dal dolore del proprio mondo. L’altra parte del gruppo delle truppe si è, invece, già consegnata all’avanzata di Wagner.
Sul suolo russo e le milizie regolari dell’esercito russo sono ridotte e mal equipaggiate, poiché la prima linea è impegnata sul fronte ucraino, peraltro in una delle frasi più complesse della cosiddetta “operazione speciale“, che vedono una controffensiva Ucraina costante e non priva di vittorie. I mercenari della Wagner sono fedeli a Prigozhin, anche perchè sanno che se si arrendessero a Putin si troverebbero soli di fronte alla corte marziale.
Che la situazione sia grave lo ha, di fatto, ammesso lo stesso Putin in un discorso alla nazione che lo mette di fronte alla sua nemesi nemesi: quel Prigožin che era stato utilizzato da oltre 10 anni nella strategia del conflitto asimmetrico, per portare avanti le ambizioni imperialiste di Putin, che è costato massacri e vite umane innocenti dalla Siria al Mali, passando per la Libia e tutto il Sahel, si rivela come il suo vero nemico. Egli è la quintessenza delle strategie di Putin, basate su uno spregiudicato uso della propaganda, dei mercenari, dei ricatti economici, delle minacce nucleari. Oggi è, non solo metaforicamente, alle porte di Mosca, assediando l’uomo che voleva essere zar. Del resto la continuità con lo zar Nicola II Romanov (già santo nella Chiesa Russa Ortodossa, che notoriamente è alleata fedele di ogni malefatta di Putin), deposto e trucidato dopo la Rivoluzione d’Ottobre nel 1917, è esplicita nel discorso di Putin. Fa riferimento al tradimento dei bolscevichi che “pugnalarono alle spalle” la nazione alla quale, impegnata nella Prima Guerra Mondiale, fu sottratta la vittoria. Al di là delle analogie con la situazione attuale, Putin, che ben conosce la storia, sa che ogni rivolgimento di regime in Russia è sempre partito dall’interno delle sue viscere ed evidentemente teme per la sua stessa vita, anche perché immagina che qualcuno dei suoi più vicini possa essere interessato o addirittura complice dell’azione di Prigožin. Più che uno zar è un parodistico Macbeth che vede avanzare le stesse sue foreste, quelle che avrebbero dovuto proteggerlo.
Del resto, non siamo certo di fronte a una rivoluzione, ma al conflitto tra due signori della guerra, da una parte Putin nel suo delirio imperialistico, dall’altra Prigožin, un macellaio di cui conosciamo molti dei suoi crimini contro l’umanità. I supposti bersagli di Prigožin, Shoigu e Gerasimov, sono scomparsi e forse già segnati nel loro destino. Il popolo russo, i cui figli più sfortunati sono stati mandati al macello sul fronte ucraino, intanto assiste impotente, come sempre accade nelle dispute tra criminali che si contendono l’osso del potere.
Ovviamente in queste prime ore non può essere chiaro il quadro, né l’esito di questo scontro. Per ora, gli stessi schieramenti di una possibile guerra civile sono incerti. I ceceni, che pure hanno giurato fedeltà Putin, certamente proveranno a ricontrattare il loro ruolo, magari anche decidendo di passare dalla parte di Wagner, un gruppo terrorista, è bene chiamare le cose con il loro nome, che si vuole fare Stato. Ne è chiaro l’orientamento degli ucraini, degli Stati Uniti, della Nato né tantomeno quello dell’Unione Europea. Si valuterà di qui in avanti se attendere una qualche forma di deflagrazione interna o se accelerare le operazioni di rientro nel Donbass.
Intanto, questa vicenda fa giustizia delle tonnellate di falsa informazione che, soprattutto in Italia, hanno caratterizzato il dibattito pubblico, in particolare di coloro i quali, richiamandosi alla nobile tradizione pacifista, non hanno fatto altro che chiudere gli occhi di fronte ad un crudo esercizio di potere, di violenza e crudeltà, di cui il popolo ucraino è stato la prima vittima.
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