Il capo di gabinetto del Ministero della cultura, Francesco Spano, si è dimesso. Nei palazzi del potere romano cala l’atmosfera dei sospetti reciproci. Il ministro Alessandro Giuli sale a Palazzo Chigi, inforcando di corsa il corridoio che lo porta al primo piano. Sosterrà di essersi fermato solo nell’ufficio del Sottosegretario Alfredo Mantovano. «Devono smetterla di sentirsi accerchiati», ci dice Tiberio Brunetti, fondatore dell’agenzia Vis Factor e analista politico non certo ostile al centrodestra. Parla del governo Meloni e di Fratelli d’Italia in particolare.
Report potrebbe aver ricevuto qualche confidenza dal centrodestra, qualcuno si è tolto qualche sassolino dalla scarpa per impallinare Spano?
«Report fa Report, non vedo niente di strano. Non so da chi e da dove abbiamo ricevuto delle informazioni, vedremo il servizio quando sarà in onda. Ma non vedo complotti, vorrei spostare l’asse: non è quello il punto politico».
Il punto è che Fratelli d’Italia avrebbe fatto sapere che il siluramento di Gilioli non era andato giù a molti…
«Sì, ma guardiamo oltre. Perché di crisi interne ne abbiamo viste, con questa, già troppe. Questo centrodestra deve decidere cosa diventare. Cosa fare da grande, e il momento per deciderlo è adesso. Il centrodestra deve rimanere ancorato e proteggere il suo fortino o deve evolversi? I movimenti in natura sono due: contrazione ed espansione. Troppo spesso decidono di contrarsi, mentre questa sarebbe l’ora di espandersi».
Lascia o raddoppia, insomma?
«Esatto, e io suggerisco al centrodestra di raddoppiare. Di accettare la sfida del nostro tempo e di cambiare atteggiamento, abbracciando per il partito che lo guida, Fratelli d’Italia, una dinamica degna di un grande, moderno partito conservatore europeo».
Vede invece Fdi chiuso in sé stesso?
«Troppo spesso vittima di sé stesso, di questa eterna logica dell’accerchiamento, della sindrome da Calimero. C’è l’Ariannismo, al fondo di tante decisioni. La logica che il mondo fuori è insidioso e quindi è meglio lasciarsi guidare dall’interno, con la sorella della premier, Arianna Meloni, che diventa pietra angolare per tante decisioni strategiche. Entropia che si riverbera anche sulle nomine e sulle figure su cui puntare…»
E qui torniamo alla notizia del giorno. La nomina di Giuli per sostituire Sangiuliano, e quelle di Spano per sostituire Gilioli. Poco meditate, non condivise?
«Non do alcun giudizio di merito, ne faccio una questione di metodo. Smettano di gridare al lupo al lupo, perché poi quando ci sarà un complotto vero nessuno ci crederà. Smettano di agire in preda a emozioni sbagliate. La classe dirigente va selezionata per merito e con metodo».
Nel tagliando del secondo anno come avete mappato Giorgia Meloni?
«Giorgia Meloni si conferma una fuoriclasse e continua ad andare bene in tutti i parametri con cui Vis Factor mappa il gradimento politico. Ma va bene anche per elementi esterni: l’opposizione è carente, divisa, all’eterna ricerca di un leader e di un programma comune che non trova».
Schematizzo: il centrodestra ha un generale forte ma ufficiali deboli mentre il centrosinistra, al contrario, ha tanti validi ufficiali ma nessun generale che li guidi?
«Sì, è una sintesi efficace. Adesso il centrodestra deve pensare al futuro, non ad autodifendersi giorno per giorno ma provare a mettere le basi per guardare al domani con ottimismo. Serve uno sguardo di prospettiva ampia che faccia a meno del timore dei complotti e sappia includere soggetti nuovi, attrarre talenti, conquistare consensi al di fuori del fortino dell’Ariannismo».