«Lo stop dell’Austria a Gazprom è sicuramente un colpo in favore del Cremlino. In immagine e soldi». È il commento di Francesco Sassi analista del Rie (Ricerche Industriali ed Energetiche) ed esperto di geopolitica energetica, alla decisione di Gazprom di interrompere le forniture di gas all’Austria. «Attenzione – puntualizza – la scelta non è riconducibile all’intensificarsi del conflitto in Ucraina, sebbene questo ne sia lo sfondo».

Professore, ricostruiamo la vicenda.
«È innanzitutto una questione legale. Siamo alla conclusione di una causa tra la compagnia di gas austriaca Omv, partecipata statale, contro Gazprom. La vicenda risale al 2022, quando il colosso russo avrebbe dovuto rifornire la controparte di gas proveniente dal Nord Stream. All’inizio dello scorso anno, a seguito dalla fornitura mancata, Vienna ha denunciato Gazprom alla Camera di Commercio Internazionale di Stoccolma, contestandole l’irregolarità nelle forniture e la cessazione senza preavviso».

Stoccolma ora ha emesso la sua sentenza.
«Esattamente. La scorsa settimana, il tribunale internazionale degli arbitrati ha condannato Gazprom a risarcire Omv di 230 milioni di euro di multa, più interessi e costi penali. Multa che, ovviamente, i russi hanno subito detto di non voler pagare. E così gli austriaci, per recuperare i danni, hanno deciso di giocare d’anticipo».

Siamo alle porte di una nuova crisi come quella del 2022? Ad agosto di quell’anno si era sfiorata quota 340 euro/MWh.
«Per nostra fortuna, situazioni drammatiche come quella si ripetono una ogni cento anni. D’altra parte, l’Europa vive una condizione di criticità costante, viste la sua scarsità di risorse energetiche domestiche. Le quotazioni al Ttf di Amsterdam stanno crescendo (ieri il mercato ha confermato i 46 euro/MWh, già toccati e superati la scorsa settimana, ndr) indipendentemente da questa vicenda».

Il caso Omv-Gazprom però va ad aggravare le cose.
«L’Europa paga un prezzo del gas oggi sempre più alto perché l’inverno è arrivato prima. In queste ultime settimane, si è avuta una domanda maggiore di riscaldamento rispetto alle medie degli ultimi anni. Surplus che non è stato compensato dalle rinnovabili. Soprattutto l’eolico nel Nord Europa non ha garantito le forniture previste».
A sua volta, la situazione geopolitica ha complicato le cose.
«La vittoria di Trump ha reso il mercato molto più volatile. Il Medio Oriente resta un elemento drammatico che complica le cose. Il tutto inquadrato nella cornice della guerra russo-ucraina, come dicevamo».

La notizia però è la conferma – qualora fosse servita – che la Russia continua a fornirci di gas. Sia dall’Austria, sia tramite la stessa Ucraina. Nonostante sanzioni, blocchi e contrasti politici.
«Bisogna fare un distinguo. La fornitura tramite l’Ucraina è ancora in essere. L’accordo Gazprom-Naftogaz risale al 2019, ma è in scadenza al 31 dicembre. Per ovvi motivi, nessuno si azzarda a parlare di un rinnovo. Ora lo stop austriaco apre altri scenari. È possibile, infatti, che Gazprom potrà fare affari con altri operatori. La Slovacchia ha già in corso una fornitura. Come anche l’Ungheria. Tuttavia, non è da escludere che si faccia avanti qualche altra compagnia austriaca. Ricordiamoci, infatti, che la causa è stata con Omv, che è una società pubblica. In altre parole, abbiamo visto uno scontro per procura Mosca e Vienna. Ora, nulla esclude che alla Omv subentri un soggetto privato».

Perché l’Ue non riesce a trovare un’alternativa valida al gas russo?
«Banalmente perché i prezzi non solo competitivi. Il Gnl che viene dagli Stati Uniti continua a essere troppo oneroso per i nostri sistemi economici».

Ma così si alimenta solo la guerra di Putin.
«Indubbiamente. Il Cremlino è il solo a uscirne vincitore. Sia sul piano economico, sia su quello politico. Nel momento cui fornisce di gas la Slovacchia e questa ne cambia l’etichetta di provenienza, nessuno può dire che quella molecola di gas è cattiva perché è russa. E quindi non vogliamo usarla. Dal punto di vista politico, Putin si trova a poter fare gioco facile con noi europei. L’esposizione della nostra industria alle forniture straniere è aggravata dalla frammentazione politica dell’Ue».