Sin dall’inizio della fase di attuazione, a guidare la valutazione dell’andamento del Pnrr sono stati principalmente due fattori: la quantità delle risorse ricevute nelle varie rate e la velocità di spesa. L’impatto del Pnrr sulle persone e sulle comunità e il superamento di divari e disuguaglianze, invece, nonostante siano il motivo per cui il nostro Paese ha ottenuto i fondi, sono sembrati scivolare in secondo piano, insieme alle modalità di realizzazione delle misure a livello territoriale. E proprio su questi aspetti, invece, è fondamentale che si concentri l’analisi e il dibattito, perché esistono forti criticità e potremmo essere ancora in tempo per modificare la “messa a terra” dei progetti di cambiamento strutturale, che ci consentono anche di garantire i diritti e migliorare il benessere delle nuove generazioni.

Nei giorni scorsi il Forum Terzo Settore ha pubblicato un rapporto realizzato insieme a Openpolis che fa il punto sull’andamento delle misure del Pnrr che riguardano il Terzo settore, e in particolare di quelle rivolte ad anziani non autosufficienti, persone con disabilità e senza fissa dimora. Si tratta, ad esempio, di misure per favorire l’ingresso nel mondo del lavoro delle persone con disabilità, anche fornendo dispositivi digitali e supporto formativo, potenziare l’offerta di servizi di assistenza domiciliare e rinnovare gli spazi domestici, abbattendo le barriere architettoniche. Oppure di interventi per assicurare il più possibile l’autonomia e l’indipendenza degli anziani e ridurre il ricorso alla permanenza a lungo termine in strutture assistenziali. O, ancora, di investimenti per realizzare centri di accoglienza notturni per i senza fissa dimora dove trovare cure mediche, distribuzione di generi alimentari e orientamento al lavoro.

Dal monitoraggio emerge che su 14.5 miliardi di euro destinati a queste tre categorie di persone fragili, 13.2 miliardi sono quelli già assegnati ai territori: una buona percentuale, dunque, che supera il 90%. Dove siano finite queste risorse dopo essere state ripartite tra i vari Comuni, però, non è possibile saperlo: i dati che il Governo mette a disposizione non ci consentono di verificare se effettivamente le risorse siano state erogate e si stiano pian piano traducendo in progetti realizzati.

Un’altra grande criticità emersa (anche) nel rapporto “Il Pnrr, le politiche sociali e il Terzo settore” è la difficoltà delle PA a stare al passo con le procedure amministrative e i contenuti progettuali per accedere ai bandi, spesso per la mancanza di personale con competenze adeguate. Ecco quindi che risultano finanziati 89 progetti in meno del previsto, al netto di diverse riaperture dei bandi stessi e scorrimenti di graduatorie, e che l’importantissimo vincolo del Pnrr che prevedeva che il 40% delle risorse andasse al Sud, è rimasto finora disatteso: per le tre misure a favore di anziani non autosufficienti, persone con disabilità e senza fissa dimora, vanno al Mezzogiorno, più Abruzzo e Molise, solo il 33,6%.

In totale 133 milioni, sui 1.45 miliardi stanziati, sono quindi oggi non assegnati: saranno comunque utilizzati? E per finanziare quali misure? Sono interrogativi che poniamo con una certa preoccupazione, considerando che stiamo parlando di fondi che dovrebbero servire a migliorare le condizioni di vita delle persone più vulnerabili e a garantire i loro diritti. Interrogativi ad oggi senza risposta, che rendono ancora più evidente la necessità di ripartire da proposte nate dal basso, dalle realtà territoriali e dai loro bisogni. Servono alleanze sui territori con tutti gli attori, compreso il Terzo settore, che potrebbero avere un ruolo nella realizzazione del Pnrr, per garantire la qualità progettuale e accrescere l’efficacia degli investimenti. Non si sta puntando, però, su una strategia che incentivi questa incredibile potenzialità sinergica delle nostre comunità: a fronte di 60 misure del Piano che riguardano il welfare, il Terzo settore, che avrebbe potuto offrire un grande contributo sin dalla fase di stesura dei bandi, è invece considerato sempre come mero e potenziale esecutore di progetti e il suo coinvolgimento è demandato a una scelta degli enti locali.

Non avvalersi delle competenze e dell’esperienza delle varie realtà, sociali e istituzionali, non può che essere un grave errore, che potremmo pagare con il risultato di una “montagna” di risorse che partorisce il “topolino” degli effetti. Anche il processo di revisione del Pnrr, di cui si inizia a parlare un po’ più nel dettaglio, rischia di essere una nuova operazione calata dall’alto e portata avanti in solitudine. Chiediamo, per questo, che si cambi rotta, lavorando a una maggiore trasparenza e garantendo la collaborazione sui territori, attuando gli strumenti di amministrazione condivisa previsti dalla legge. Non basta spendere tutte le risorse per sventare il rischio di uno spreco del Pnrr: bisogna spenderle bene per centrare gli obiettivi di sviluppo sociale di cui il Paese ha bisogno.