Appuntamento solenne al Tempio Maggiore di Roma, ieri mattina. La sinagoga più importante dell’ebraismo italiano ha celebrato i suoi centoventi anni di vita in un’atmosfera sospesa tra gioia e dolore, angoscia e speranza. Israele è sotto attacco e Israele non ha confini: proprio questo Tempio è stato teatro, il 9 ottobre del 1982, di un attentato palestinese costato la vita al piccolo Stefano Gaj Taché e che ha prodotto quaranta feriti.

Tra di loro c’era un giovanissimo Maurizio Molinari, sopravvissuto all’attentato. L’editorialista di Repubblica ieri ha fatto da maestro di cerimonie, al Tempio Maggiore. E non ha avuto compito facile nel rispettare la fitta scaletta di interventi, cori, videomessaggi da Israele, discorsi solenni. La politica e le istituzioni erano ben rappresentate, a partire dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e da quello del Senato, Ignazio La Russa, al Vicepresidente del consiglio, Antonio Tajani. Numerosi i ministri, da quello della Giustizia, Carlo Nordio al titolare della Cultura, Alessandro Giuli fino a quello della Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo. Il mondo ebraico era presente al gran completo: dalla presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane Noemi Di Segni al rabbino capo Riccardo di Segni fino al presidente della Comunità ebraica romana, Victor Fadlun.

Collegati in video il Rabbino Capo askenazita rav Kalman Ber e il Rabbino Capo Sefardita rav David Yosef. Presenti anche il senatore Enrico Borghi, di Iv; Piero Fassino, del Pd; il leader di Noi Moderati, Maurizio Lupi; Maria Elena Boschi (Copasir) che era seduta – e in fitto dialogo – con il Capo della Polizia, Vittorio Pisani. Di Forza Italia, oltre a Tajani, c’erano Maurizio Gasparri e Paolo Barelli. E nelle prime file sedeva anche Stefano Parisi, con l’immancabile spilletta dell’associazione Setteottobre. Il ministro degli Esteri, uscendo dal Tempio, ha dichiarato: «I presupposti del genocidio sono la predeterminazione, la decisione. Ricordiamo che è cominciato tutto con la caccia all’ebreo del 7 ottobre dello scorso anno. Non è stato un attentato, non è stato un bombardamento, non è stato un attacco militare: è stata una caccia all’ebreo casa per casa, persona per persona. Quindi con predeterminazione, con atti di violenza inaudita. Vedere una madre violentata mentre le mettono un bambino neonato dentro al forno è una cosa che neanche la Gestapo e le SS facevano», ha commentato Tajani.

L’antisemitismo di questi anni è al centro dell’attenzione. Fadlun ne parla senza mezzi termini, indirizzandosi al Presidente della Repubblica. «Grazie, Presidente, perché nel contrasto all’antisemitismo noi l’abbiamo sempre avuta al nostro fianco, come quando ha sottolineato, nel Giorno della Memoria del 2016, che l’antisemitismo si può fare ‘schermo di forme di antisionismo’ e non è mai ‘completamente debellato’. Siamo sicuri di poter contare sul baluardo di diritto e giustizia da lei rappresentato, a tutela dei valori e princìpi su cui si reggono la nostra amata Repubblica e la nostra – altrettanto amata – democrazia». Il Rabbino capo dell’ebraismo italiano, Di Segni, ha colto l’occasione per argomentare, davanti al Capo dello Stato, un passaggio dalla Bibbia. Nello specifico, da Genesi 6:11 e 13: «Con una sinistra evocazione, la parola violenza traduce il termine ebraico biblico che è hamàs, sì proprio hamàs». Prosegue Di Segni: «La sopravvivenza della nostra società sta nella convivenza pacifica di cittadini che rispettano le leggi e che condividono il dovere di costruire insieme un mondo migliore». Mattarella annuisce, non perde una parola, lo applaude.

Il Tempio Maggiore non è solo un monumento (pregevole, rievoca insieme l’arte assiro-babilonese e l’Art Nouveau, con le sue vetrate Liberty) ma è quello che nell’ebraismo si definisce Bet ha-Knèsset: la casa dell’Assemblea. La casa di tutti. Centoventi anni di storia – ha resistito persino ai nazisti, che a Roma occuparono e rastrellarono il Ghetto – hanno fatto del Tempio Maggiore uno dei simboli più forti dell’Italia migliore che studia, lavora e non si arrende mai.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.