Negli ultimi decenni la Turchia è stata presa di mira da numerosi gruppi armati, tra cui lo Stato islamico, il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), formazione armata curda che si batte per l’autonomia del sudest anatolico, il Partito del Fronte rivoluzionario di liberazione del popolo turco (DHKP-C). Un’organizzazione, questa, di estrema sinistra rivoluzionaria, maoista, che si è macchiata di gravissimi attentati con uccisioni di magistrati e sequestri di persona.

Fino a questo momento in cui scriviamo, nessuna organizzazione ha rivendicato l’attentato alle Turkish Aeropsace Industries, ma vi sono degli indizi che conducono alla pista curda del PKK. L’attentato è avvenuto il giorno dopo le sorprendenti dichiarazioni di Bahçeli, l’alleato ultranazionalista di Erdoğan, ferocemente anticurdo, con le quali invitava l’ergastolano leader carismatico del PKK, Öcalan, a presentarsi in parlamento per lanciare da quella tribuna un appello al movimento curdo esortandolo a deporre le armi, dichiarando la fine del terrorismo e lo scioglimento del partito armato. In questo modo, ha aggiunto, avrebbe potuto beneficiare del “diritto alla speranza” – cioè del diritto per i condannati all’ergastolo di usufruire della libertà condizionale per buona condotta entro i termini stabiliti dalla legge. Secondo alcune fonti molto accreditate in Turchia, Öcalan avrebbe già stabilito contatti con i capi dell’organizzazione curda armata a Qandil, in nord Iraq. Sempre secondo queste fonti vi sarebbe una spaccatura all’interno dell’organizzazione curda, tra chi riconosce ancora la leadership del fondatore del Partito dei lavoratori del Kurdistan Öcalan e chi invece non ne riconosce più alcuna autorità dal momento che è in prigione dal 1999 ed è visto come un traditore della causa disposto a svenderla a Erdoğan per salvare la pelle.

Inoltre quella di Bahçeli è sembrata una dichiarazione strumentale: nel frattempo, infatti, Selahattin Demirtaş, l’ex presidente del partito filocurdo HDP e terzo partito più grande presente in parlamento, che ha scelto da anni la via politica e che ha preso le distanze dal partito armato rimane in prigione in attesa giudizio dal 4 novembre del 2016 con l’accusa di “aver sostenuto il PKK” – nonostante le sentenze perentorie della CEDU che ne avevano disposto l’immediata scarcerazione ritenendo la sua reclusione motivata da ragioni politiche. Demirtaş ha a lungo promosso la risoluzione pacifica della questione curda ritenendola una battaglia per la democrazia e per i diritti umani. Se il duo Bahçeli-Erdoğan avesse reali intenzioni di porre fine alla questione curda, l’interlocutore principale dovrebbe essere il terzo partito maggiore del paese che ha sempre sostenuto la via politica alla risoluzione pacifica del conflitto.

Cercare di ottenere il sostegno di Öcalan escludendo il partito filocurdo e un leader come Demirtaş fa parte di una strategia ben precisa: dividere il movimento curdo. A costituzione vigente, Erdoğan non può candidarsi alle prossime elezioni presidenziali del 2028, c’è il limite dei due mandati e ha solo due opzioni per assicurarsi la presidenza a vita: cambiare la costituzione o in Parlamento o con un Referendum, ma la coalizione al potere formata da AKP e MHP non ha numeri sufficienti per nessuna di queste due opzioni. Ciò significa che il Presidente deve assicurarsi il sostegno di un altro partito politico che ha una rappresentanza parlamentare consistente. Il maggior partito di opposizione, il Partito repubblicano del popolo (CHP), ha già chiarito di non essere interessato a rielaborare la costituzione per consentire a Erdoğan di concorrere alle presidenziali del 2028. L’altra formazione politica che ha i numeri è il DEM, il filocurdo Partito della Democrazia e dell’uguaglianza dei popoli. Per questo motivo si sarebbe aperta la strada per “colloqui esplorativi” per una nuova apertura curda con il leader del PKK Öcalan.