Denuncia irregolarità, subisce il 'furto' dei consiglieri, promette campetti di calcio nel rione popolare e finisce in carcere
L’arresto di Luciano Mottola: cosa non torna nell’inchiesta sul sindaco di Melito dove per i pm “tutto è camorra”

Per la Procura di Napoli tutto è camorra a Melito. E poco importa se il clan Amato-Pagano, dedito soprattutto alla droga e alle estorsioni e fortemente ridimensionato nell’ultimo decennio da centinaia di arresti, punta, ‘forte’ dei circa 150-200 voti che millanta di avere a disposizione sui quasi 7mila che hanno decretato l’ultima vittoria, sull’aspirante sindaco sbagliato, che perde al primo turno e non arriva al ballottaggio.
Poco importa se alcuni esponenti della coalizione perdente decidono di appoggiare al ballottaggio il candidato sindaco che già aveva preso più voti di tutti al primo turno e, per di più, appartiene allo stesso schieramento politico (quello di centrodestra). Poco importa perché, secondo i dogmi giudiziari, il sindaco di Melito “è eletto grazie alla camorra” e la democrazia, nel comune a nord di Napoli di circa 38mila abitanti, è sospesa da anni perché “tu lo sai, quello non ci vuole niente a cadere… tu lo sai come si cade no? Basta che abbuscano due di loro”.
E’ quello che gli investigatori provano a far emerge nell’inchiesta che nei giorni scorsi ha portato in carcere il sindaco Luciano Mottola, 39 anni, eletto nell’ottobre 2021, e altre 15 persone (altre due sono finite ai domiciliari). Scambio elettorale politico-mafioso l’accusa mossa dai pm napoletani Giuliano Caputo e Lucio Giugliano, sotto il coordinamento del procuratore Rosa Volpe, al termine delle indagini condotte dalla Dia del capocentro Claudio De Salvo.
Un vicenda singolare quella di Mottola (che prima di dedicarsi alla politica lavorava come giornalista, salvo poi ritrovarsi massacrato dai media in questi giorni) chiamato in causa da terzi, da imprenditori e pseudo politici coinvolti in una campagna elettorale caratterizzata da promesse economiche, posti di lavoro ma soprattutto, così come sempre più spesso accade in ogni angolo d’Italia, da fiumi di parole che lasciano il tempo che trovano.
Un caso ancora più singolare perché Mottola, così come emerge dall’ordinanza firmata dal Gip Isabella Isaselli, si presenta dai carabinieri della Compagnia di Marano ben due volte nelle settimane che precedono il voto. Una prima il 23 luglio e una seconda l’8 settembre. Nelle denunce Mottola fa riferimento alle pressioni esercitate dal clan nei confronti di alcuni elettori residenti nel rione di edilizia popolare 219. Fornisce nomi di aspiranti consiglieri, appartenenti alla coalizione del candidato sindaco Nunzio Marrone (non indagato perché l’appoggio della malavita lo avrebbe ottenuto il padre a sua insaputa) e che frequentano bar e zone di “competenza” della criminalità organizzata. “I camorristi lo sapete dove stanno” facendo riferimento al rione 219 ritenuto sotto il controllo del clan guidato, secondo gli investigatori, da Salvatore Chiariello (all’epoca dei fatti contestati latitante), Vincenzo Nappi (ammazzato in un agguato nel gennaio 2023) e Giuseppe Siviero.
Lo stesso Mottola, così come anche la candidata del centrosinistra Dominique Pellecchia, prima della presentazione delle liste si vede sottrarre diversi candidati costretti con poca diplomazia (e a malincuore) a sposare il progetto di Marrone, l’aspirante sindaco sul quale avevano puntato i reduci del clan Amato-Pagano, o addirittura costretti a fare campagna elettorale per la coalizione avversaria nonostante fossero candidati nelle liste dello stesso Mottola.
Uno sponsor politico, quello del clan, così efficace che ha visto lo stesso Marrone (appoggiato da Forza Italia, Lega, la Lista del pm anticamorra Catello Maresca e da altre liste civiche) uscire di scena al primo turno, preceduto dalla coalizione di Mottola (Fratelli d’Italia e liste civiche) e di Dominique Pellecchia (Pd, Cinque Stelle e liste civiche).
Ma andiamo con ordine e proviamo a riepilogare, numeri alla mano, i dati delle elezioni dello scorso ottobre 2021, elezioni sulle quali erano accesi i riflettori della procura partenopea, allertata dalla denuncia dell’ex sindaco di Melito Antonio Amente, scomparso in ospedale per colpa del Covid, nell’ottobre del 2020 (un anno prima, ndr), quando l’allora primo cittadino del comune denuncia di essere stato avvicinato da due soggetti in sella a una moto, che gli hanno intimato di dimettersi, altrimenti “vi facciamo cadere”. Sindaco di cui lo stesso Mottola era vice
Al primo turno il candidato sposato dalla criminalità organizzata raccoglie un totale di 4.806 preferenze (26,2%), dietro alla coalizione Pellecchia (6.608 preferenze, 36,1%) e a quella di Mottola (6.910 preferenze, 37,7%). Al ballottaggio Marrone non si schiera apertamente per Mottola ma, con buona pace della camorra e dalla magistratura, chi vota a destra difficilmente al secondo turno cambia idea e passa dall’altra parte. Il risultato finale è il seguente: Mottola ottiene 6.738 voti, Pellecchia 6.351.
Ma l’attenzione di Procura e Dia, ed è qui che già si ridimensiona l’inchiesta e, soprattutto, il dogma della camorra che comanda la politica melitese, è rivolta ad appena due seggi, il 22 e il 24 di via Lussemburgo, ritenuti sotto l’influenza del clan.
Ebbene, numeri alla mano, al primo turno nei due seggi in questione Mottola raccoglie in totale 336 voti, Pellecchia 173 e Marrone 541. Al ballottaggio il trend cambia di poco: Pellecchia scende a 148 voti, Mottola sale a 372. Un margine di 224 preferenze (non il triplo delle preferenze come c’è scritto nell’ordinanza…). Voti persino ininfluenti visto il distacco finale di 387 preferenze rispetto alla rivale del centrosinistra.
Ma lo stesso Mottola, secondo la ricostruzione investigativa, risulta eletto grazie all’accordo con la camorra locale. Accordo che avrebbe ottenuto in vista del ballottaggio quando alcuni consiglieri (Luigi Ruggiero e Antonio Cuozzo, il primo candidato in una civica di Marrone con 256 voti finali, il secondo candidato con Forza Italia con 472 voti) si fanno avanti con persone che sostengono Mottola per trovare un accordo (anche economico) che però non viene cristallizzato nelle intercettazioni ottenute ‘grazie’ a un captatore, un virus spia, un trojan insomma, inoculato sul cellulare di Emilio Rostan, 76enne imprenditore padre dell’ex deputata Michela Rostan e tra gli sponsor elettorali della coalizione Mottola, e su quello di Luigi Ruggiero, il candidato al consiglio comunale che lascia le liste di Mottola per passare in quelle di Marrone e… perdere. Salvo poi ritornare alla carica e sognare un posto nello staff del sindaco, svegliandosi poi quando gli viene spiegato che non è prevista alcuna retribuzione. Lo stesso Ruggiero che chiama più volte in causa anche l’ex sindaco del centrosinistra Venanzio Carpentieri, facendo riferimento a fantomatici incontri in vista del ballottaggio, Incontri dove garantisce appoggio anche alla coalizione guidata da Pellecchia. Insomma candidati spregiudicati e pronti a fare il doppio gioco pur di ottenere qualcosa in cambio.
Quali sono le colpe di Mottola? Aver fatto campagna elettorale che, inevitabilmente, porta a parlare e dialogare con tutti? Andare a denunciare, con nomi e cognomi, alcuni episodi sospetti che avvenivano nelle palazzine popolari? Promettere ai residenti della 219 la realizzazione di campetti di calcio nel rione? Questa è politica o camorra? Questa è riqualificazione del territorio o voto di scambio?
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