Un immenso territorio di caccia
L’Artico è il nuovo El Dorado e vale 90 miliardi di barili di petrolio. La Groenlandia nel mirino di Trump
Le parole di Donald Trump sulla Groenlandia sono solo battute? Solo le dichiarazioni di fuoco di un leader che ci ha abituato, nel corso degli anni, a minacce di vario genere, toni più che aspri e negoziati durissimi? Fino a un certo punto.
Perché l’interesse nei riguardi di quell’immensa isola nel grande Nord non rivelano solo l’interesse del presidente eletto degli Stati Uniti, ma anche quello che è un interesse strategico di Washington: l’Artico. Una regione che nel corso degli ultimi anni ha aumentato notevolmente il proprio peso nell’agenda delle grandi potenze e che da tempo è oggetto di una crescente corsa globale verso le sue risorse e le sue rotte navali. Con il miglioramento delle tecnologie, la maggiore capacità di scoprire le risorse naturali e il cambiamento climatico in corso, l’Artico non è più solo una terra inospitale. Gli esperti vedono nella regione del Polo Nord un vero e proprio “El Dorado”. Un immenso territorio di caccia che, come spiegava anni fa l’Atlantic Council, si stima abbia al suo interno 90 miliardi di barili di petrolio (il 16% del totale globale), quasi un terzo dell’intero gas mondiale e 44 miliardi di barili di gas naturale liquido (il 38% di quello tuttora conosciuto). L’Artico vale tutto questo. E la Groenlandia, la terra che appartiene alla Danimarca e che Trump ha messo nel mirino, è una parte cruciale di questo potenziale El Dorado. Nel suo sottosuolo sono presenti enormi quantità di terre rare, quegli elementi indispensabili per l’industria elettronica e della difesa e che da molti anni sono protagonisti di una guerra commerciale (e strategica) soprattutto con la Cina.
La stima dell’Economist
Secondo l’Economist, dei 50 minerali che il Dipartimento di Stato americano ha valutato come critici, quindi essenziali per la sua industria e per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, 43 giacciono proprio nel sottosuolo di quella gigantesca isola dell’Atlantico settentrionale. Molti di questi metalli sono talmente rari e indispensabili per alcuni settori da avere quotazioni altissime nel mercato globale. Altri sono più noti, come rubini e oro. E oltre al petrolio e al gas, da tempo gli esperti segnalano anche il potenziale della Groenlandia per quanto concerne l’estrazione dell’uranio: la base di tutto il settore energetico nucleare. Sull’isola aveva messo gli occhi anche la Cina. Un interesse che però, a detta degli analisti, è sembrato spesso sovrastimato rispetto alle reali intenzioni e alle concrete possibilità di inserimento di Pechino in quella specifica partita.
Il ricalco di Pechino
Tuttavia, se le risorse della Groenlandia sono al momento ancora distanti dalle effettive mire cinesi, diverso è il tema dell’interesse generale dell’Impero di Mezzo per l’Artico. Una regione che gli strateghi del Partito comunista cinese non hanno affatto dimenticato nel corso degli ultimi anni e su cui adesso, proprio per il rinnovato interesse di Trump per il Nord, potrebbero rimettere di nuovo mano. Il tema è stato affrontato sul quotidiano “Nikkei” da Elizabeth Buchanan, ricercatrice presso l’Australian Strategic Policy Institute, secondo cui le nuove dichiarazioni del tycoon potrebbero innescare un ricalcolo strategico da parte di Pechino. E questo profilo ha un significato molto importante soprattutto se messo in parallelo con una delle chiavi per comprendere l’attuale politica internazionale: il rapporto sempre più stretto tra la Cina e la Russia.
L’intenzione russa
Non è un mistero che Mosca rappresenti al momento la superpotenza artica, al netto degli sforzi americani per aumentare la propria sfera d’influenza nel cosiddetto Grande Nord. Il Cremlino ha sotto la propria autorità tutta la gigantesca costa settentrionale che si affaccia proprio sui mari artici. E se la Russia, per mantenere il proprio status di potenza dell’energia, ha interesse a sfruttare i giacimenti di idrocarburi che sono chiusi sotto quelle calotte di ghiaccio, ha anche l’obiettivo strategico di blindare il controllo su tutte le rotte polari. Tra gli effetti del riscaldamento globale c’è anche la possibilità che alcune rotte artiche diventino via via più praticabili. Mosca ha da tempo varato una propria flotta di rompighiaccio nucleari che rappresenta uno dei fiori all’occhiello della cantieristica di Vladimir Putin. E come spiegano gli esperti, l’Artico ha anche un ruolo essenziale anche come autostrada per i sottomarini nucleari russi, dando la possibilità di muoversi e di colpire ovunque senza essere visti da altre forze nemiche. E con la guerra in Ucraina e la rottura delle relazioni tra Mosca e Occidente, il peso sempre più rilevante della Cina nella politica russa fornisce a Xi Jinping molte più leve per convincere lo “zar” a cedere sulla tradizionale gelosia di Mosca nei riguardi dell’Artico.
L’occhio della NATO
La questione è sotto la lente di ingrandimento anche della Nato, che non ha nascosto la sua volontà di proiettarsi nel Grande Nord. La recente adesione di Svezia e Finlandia ha blindato l’essenza atlantica della Scandinavia rafforzando la presenza delle forze euroamericane su tutta la regione. E per l’Alleanza è fondamentale mantenere il pieno controllo di tutte le rotte che possono essere oggetto di sfida con la Russia. Da quelle del Mar Baltico, dove in settimana è previsto l’arrivo di alcune navi della Nato per evitare “incidenti” ai cavi sottomarini, fino a quelle oltre il Circolo Polare Artico.
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