L’ascesa della destra in Europa dopo la crisi del 2008: quando populismo e sfiducia fiorirono col crollo dei mercati

Dal 2006 al 2008 il sistema bancario occidentale fu colpito dalla grande crisi dei cosiddetti “derivati”. Questi erano dei prodotti finanziari altamente speculativi legati ai valori dei mutui immobiliari erogati dalle banche americane alle famiglie per l’acquisto delle proprie abitazioni. Per sostenere la grande espansione edilizia, godendo di un tasso d’interesse molto basso, i mutui furono erogati indiscriminatamente anche a quelli non in grado di garantirne il pagamento. Con il successivo aumento dei tassi e dei casi di insolvenza, alcune banche non furono più in grado di recuperare i capitali prestati portandole sull’orlo del fallimento.

La crisi finanziaria, economica e sociale

Ne furono coinvolte anche tutte quelle che avevano nel proprio portafoglio un consistente volume di “derivati” praticamente senza alcun valore. Dopo il fallimento della banca americana Lehman Brothers, per contenere la gigantesca crisi finanziaria, dove la sua stessa dimensione non era chiara, i governi americani ed europei attivarono straordinarie misure di immissione di liquidità al sistema bancario, trasferendo di fatto il suo indebitamento ai bilanci statali. Il conseguente aumento del debito pubblico sottrasse risorse agli investimenti e alle politiche di sviluppo e la crisi da finanziaria diventò economica e sociale. Inoltre, in alcuni paesi europei, a cominciare dalla Grecia, il livello del debito pubblico (sovrano) divenne insostenibile, comportando l’avvio di pesanti misure restrittive che aggravarono gli effetti della recessione mondiale in atto.

Il confronto

Le conseguenze, in termini di licenziamenti, ristrutturazioni produttive e condizioni sociali, anche se differenziate nei vari paesi europei, furono profonde e durature. Si propagarono negli stessi stati dell’est che da pochi anni erano entrati a far parte dell’Unione europea, con la speranza di uscire dalle condizioni di arretratezza che permanevano malgrado la caduta del comunismo sovietico. In questo contesto, prendono origine consistenti mutamenti dei comportamenti elettorali in Europa. La scelta necessitata di salvare il sistema bancario è vissuta da molti come un “tradimento” alla funzione delle istituzioni e dei partiti di tutela dei ceti deboli, su cui, invece, vengono scaricati i costi della crisi. Si diffonde, così, un sentimento “antisistema” e di sfiducia verso la stessa democrazia. Prendono corpo risentimenti e paure che prevalgono sulle motivazioni che, fino ad allora, erano state alla base delle proprie preferenze politiche ed elettorali.

La rilevazione delle nuove tendenze è stata condotta analizzando i risultati delle elezioni legislative in ventotto paesi europei, cioè negli stati attualmente aderenti all’Unione, aggiungendo l’Inghilterra. Più precisamente, si sono confrontati i risultati registrati nelle elezioni degli anni a ridosso del 2006 con quelli delle consultazioni elettorali più recenti. I vari partiti presenti nelle diverse elezioni sono stati raggruppati in tre aree (centro, destra, sinistra) sulla base della loro eventuale collocazione nei gruppi del Parlamento Europeo o delle proposte politiche presenti nei programmi con cui si sono presentati nelle rispettive competizioni nazionali. Una quarta area (non collocata) è formata da partiti e movimenti “indipendenti” legati, prevalentemente, alle numerose minoranze linguistiche presenti negli stati europei o a situazioni specifiche locali di scarso valore politico.

Nella fase temporale A, pertanto, sono raggruppate le seguenti elezioni legislative: Bulgaria, Germania, Inghilterra, Portogallo (2005); Austria, Repubblica Ceca, Cipro, Italia, Lettonia, Paesi Bassi, Slovacchia, Svezia, Ungheria (2006); Belgio, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Grecia, Irlanda, Polonia (2007); Lituania, Malta, Romania, Slovenia, Spagna (2008); Lussemburgo (2009). Nella fase temporale B, invece: Austria (2019); Lituania, Romania (2020), Repubblica Ceca, Cipro, Germania (2021); Danimarca, Irlanda, Italia, Lettonia, Malta, Slovenia, Svezia, Ungheria (2022), Estonia, Finlandia, Grecia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Slovacchia, Spagna (2023); Belgio, Bulgaria, Croazia, Francia, Inghilterra, Portogallo (2024).

L’egemonia elettorale

Dalla tabella si può osservare che il numero complessivo dei voti espressi è rimasto sostanzialmente stabile: contrariamente a quanto si ritiene, a livello complessivo, non c’è stato un aumento dell’astensionismo. Conseguentemente i forti mutamenti di tendenza politica assumono un maggiore significato. Inoltre, è aumentato il numero dei voti per quei partiti non collocabili in una particolare area politica; infatti, nella raccolta dati si è rivelata una significativa crescita di nuove sigle elettorali, a dimostrazione di una certa difficoltà a riconoscersi nell’offerta politica tradizionale. La crescita della destra è notevole a danno delle due aree politiche che separatamente o alleate sono state alla guida dei governi nei paesi europei del campione: comunque, le preferenze per il centro e la sinistra rappresentano una quota importante (circa il 71%) dei voti, lasciando la destra in una posizione, di fatto, marginale.

Si potrebbe, allora, affermare che il “sistema politico” abbia retto alle pesanti conseguenze non solo della crisi del 2006-2008 ma anche alle difficoltà successive, a cominciare dalla pandemia Covid, dove la ripresa economica è stata debole e disomogenea. Malgrado ciò, però, è necessario interrogarsi se è in esaurimento la crescita della destra. Sulla possibile risposta pesa, indubbiamente, l’evoluzione di alcuni fattori esterni all’Europa che, in vario modo, ne condizionano il futuro. A cominciare dall’esito delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, dalle probabili e auspicabili chiusure dei conflitti in Ucraina e in Medio Oriente, dall’andamento del commercio mondiale e delle politiche economiche della Cina e dalla riorganizzazione delle fonti energetiche. Pertanto, il sistema Europa e i suoi singoli stati nazionali dovranno assumere scelte importanti su questioni strategiche, da cui discendono conseguenze politiche ed elettorali che possono consolidare o frenare la crescita della destra.

Sarebbe pericolosamente deviante interpretare i risultati delle elezioni legislative in Inghilterra e in Francia come l’inizio del ridimensionamento della destra: i laburisti hanno vinto grazie al particolare sistema elettorale, pur prendendo ottocentomila voti in meno della precedente competizione; in Francia, la destra è stata sconfitta unicamente per effetto degli accordi elettorali al secondo turno tra i vari partiti anti Le Pen. I partiti di centro e della sinistra intendono, allora, mantenere la loro calante egemonia elettorale agitando il pericolo della destra oppure dando risposte strutturali alle esigenze di crescita economica e di equità sociale? E per assumere questo ruolo il sistema centro-sinistra ha le caratteristiche culturali e politiche adeguate?

Un contributo alle risposte di questi diversi interrogativi può venire, anche, da ulteriori analisi di dettaglio dei comportamenti elettorali, a cominciare da un loro approfondimento per aree geografiche in cui sono stati raggruppati gli Stati del nostro campione: centro (Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Croazia, Francia, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Slovenia); est (Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Slovacchia, Ungheria); nord (Danimarca, Finlandia, Inghilterra, Irlanda, Svezia); sud (Cipro, Grecia, Italia, Malta, Portogallo, Spagna). Solo nell’area “sud” si rileva un netto calo del numero dei voti espressi, in controtendenza con tutte le altre tre aree (da 77.341.045 a 64.849.15). Tra i paesi del sud il calo è particolarmente influenzato dall’andamento in Italia, con una diminuzione di poco più di dieci milioni, in quanto in Grecia e Spagna è più contenuto, mentre in Portogallo si registra un aumento.

Tra le quattro aree geografiche si evidenziano interessanti diversità nelle tendenze elettorali. Il peso dell’area politica di “centro” si contrae ovunque, rimanendo il primo schieramento solo nell’area dei paesi dell’est con il 41,72% dei voti. La perdita di consensi è accentuata nel sud e nel nord Europa, con un calo percentuale rispettivamente del 38% e del 24%. La sinistra cresce, in voti e percentuale, solo nei paesi dell’area nord mentre il calo di consensi è particolarmente pesante in quelli dell’est con una riduzione percentuale del 56%. Nei paesi del sud è pari al 25% e in quelli del centro 13%. Quest’area politica diventa, però, il primo schieramento in tre delle zone geografiche, con esclusione di quella dell’est, per effetto dei risultati più penalizzanti dell’area politica del centro.

La destra recupera molto, in tutte le aree geografiche, la distanza dagli altri due schieramenti, uscendo da una situazione di “nicchia” in cui è stata relegata per decenni, diventando una forza maggiormente presente nei territori. La crescita dei consensi più alta è nel nord Europa (+406%); nelle altre aree si registrano incrementi del 315%, del 208% e del 185% rispettivamente nel centro, nel sud e nell’est.