L'ingresso nel Gotha del tennis
L’ascesa di Sinner, la lezione del rosso di San Candido agli haters: l’addio a Piatti e il nuovo staff con papà chef
La caccia digitale a Jannik Sinner era cominciata dopo il mancato accesso ai quarti di finale degli Australian Open, il 22 gennaio. La sconfitta al quinto set rimediata contro Stefanos Tsitipas aveva caricato d’insulti i fucili a pallettoni sempre pronti a sparare sui social: “Ritirati”, “Che delusione!”, “Piatti ride, e ha ragione!”, “Liberati dei due tuoi tristissimi coach”, e via twitt-odiando. Lui, il rosso di San Candido, zitto. Come s’usa dire in questi casi, aveva risposto con i fatti: prima il titolo il 12 febbraio nell’ATP 250 di Montpellier (battuto Maxime Cressy in finale), poi parecchi saggi della raggiunta competitività assoluta con la finale nel 500 di Rotterdam (sconfitta per mano di Daniil Medvedev), la semifinale nel 1000 di Indian Wells (Carlos Alcaraz), la finale in quello di Miami (di nuovo Medvedev), la semifinale nel 1000 di Monte Carlo (Holger Rune), la semifinale a Wimbledon (Novak Djokovic).
Domenica, nel Masters 1000 di Toronto è arrivato il suggello della sua stagione quasi perfetta con il 6-4 6-1 inflitto all’australiano Alex de Minaur, che ha avuto come triplice bonus un assegno di un milione di dollari, il sesto posto nel ranking mondiale e il quarto in quello Race che determina i nomi degli otto partecipanti alle ATP Finals di Torino. Questo significa che al momento alle spalle dei fenomeni – nuovo e stagionato – Alcaraz e Djokovic e del campione di regolarità Medvedev c’è lui, 22 anni da compiere domani, perché da gennaio ha fatto assai meglio di Tsitsipas, Andrey Rublev, Casper Ruud e perfino del giovanissimo annunciato sfasciacarrozze Holger Rune.
Le parole giuste per definire Sinner formato Canadian Open le trova, come spesso accade, Stefano Semeraro della Stampa, che usa la metafora ciclistica: “Ha confermato di essere l’uomo della continuità, il passista che raramente manca la volata e che punta a trasformarsi stabilmente in finisseur sui traguardi che contano”.
Che le cose stiano così lo ha di nuovo rilevato, a proprie spese per la quinta volta in altrettanti match, de Minaur, cresciuto nella scuola tennistica spagnola, la cui partita è durata fino al 5-4 del primo set, quando ha ceduto a zero il suo game di servizio. Il secondo parziale è stato un pro-forma. Insomma, non bisogna pretendere da Jannik il tennis scintillante di Federer, né quello bello e debordante di Nadal e Djokovic e, ora di, Alcaraz. Ma Jannik si candida a essere almeno l’Andy Murray o lo Stan Wawrinka del ciclo decennale iniziato nel 2022 che sarà caratterizzato, salvo sorprese, dalle imprese del ragazzo di Murcia e, forse, di quello di Copenhagen, entrambi classe 2003. Ma il sudtirolese potrebbe anche fare di più, prevalendo spesso negli scontri diretti con Carlos e Holger grazie al proprio tennis di sostanza e comunque approfittando di ogni loro passo falso, com’è accaduto nella settimana di Toronto.
Sinner è assai cresciuto negli ultimi mesi, approfittando della squadra costruita dopo il clamoroso divorzio da Riccardo Piatti all’inizio della stagione 2022. Sembra assai affiatata la coppia di coach formata dal marchigiano Simone Vagnozzi, che da tennista usava soprattutto la testa, e dall’australiano Darren Cahill detto “Killer”, già 22 al mondo come singolarista a fine anni Ottanta e poi al fianco di Lleyton Hewitt, Andre Agassi e Simona Halep. Ruoli importanti nell’equilibrio del team hanno il fisioterapista Giacomo Naldi, il preparatore atletico Umberto Ferrara, il manager Alex Vittur e, dicono, papà Hanspeter, cuoco professionista, che da qualche mese cura personalmente l’alimentazione del figlio in giro per il mondo. Da domenica si sta giocando a Cincinnati per l’ultimo 1000 americano. Ci sono anche Matteo Berrettini, Lorenzo Musetti e Lorenzo Sonego. Il confronto con Sinner farà bene anche a loro, vedrete.
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