E' la prima volta che lascio un giornale senza essere cacciato...
Lascio il Riformista a Renzi, resta il garantismo contro le bufale-giudiziarie dei giornaloni che coprono la mafia
Giornali italiani, quasi tutti, hanno messo la sordina a quella che ieri era la notizia del giorno: la sentenza della Cassazione che dichiara solennemente che la trattativa Stato-mafia non c’è mai stata. Perché mettono la sordina? Perché quasi tutti i giornali italiani, e molte tv, soprattutto la tv di Stato, hanno per decenni sostenuto la tesi che la trattativa c’era stata. Lo hanno sostenuto con due obiettivi: colpire i Ros del generale Mori e cercare di coinvolgere Berlusconi in uno scandalo che potesse travolgerlo.
Chiunque conoscesse un minimo i fatti capiva in un attimo che Berlusconi non c’entrava nulla di nulla, con quella storia di mafia, e che il generale Mori era ed è l’unico tra i viventi ad aver combattuto e ferito la mafia con tutte le sue forze. Per anni giornalisti e magistrati, tanti, di tutti i colori, hanno costruito le proprie carriere, anche formidabili carriere, sullo stravolgimento della realtà. E in questo modo hanno favorito la mafia, sviando le indagini, o insabbiandole o inquinandole. E stordendo l’opinione pubblica. Le loro carriere non saranno scalfi te da questa sentenza. Oggi io lascio Il Riformista, che era tornato in edicola 4 anni fa dopo 7 anni di assenza. Lo lascio a Matteo Renzi. Con questo grande orgoglio: Il Riformista è stato uno dei pochi giornali a battersi contro la bufala della trattativa, e contro la cosiddetta antimafia che faceva il gioco della mafia eri ho dato un’occhiata ai giornali. Grandi e medi. Di vari orientamenti politici. Per capire con quale taglio avessero dato la notizia del giorno. Cioè la solenne dichiarazione della Corte di Cassazione, la quale ha certificato che una trentina d’anni di politica e cultura antimafia sono stati costruiti tutti su svariate balle, utili solo a impedire la lotta alla mafia. Diciamo, con indulgenza: eterogenesi dei fi ni. (Dando per scontata la buonafede).
Mi ha sorpreso un po’ (perché dopo 48 anni di professione sono ancora un fesso ingenuo) il modo in cui la gran parte dei quotidiani, o forse la totalità (escluso solo Il Giornale). hanno messo la sordina alla notizia. Piccoli titoli, niente paginate, e persino, da parte di qualcuno, la faccia tosta di scrivere che è stato accertato che la trattativa stato-mafia non c’è stata ma invece c’è stata. “Il Fatto di Travaglio” – che in questi anni ha impartito molte lezioni – fa anche dello spirito. Dice: siccome i mafiosi sono stati prescritti dal reato di trattativa, vuol dire che sono colpevoli e quindi la trattativa c’è stata. Esempio lampante di come si prende una cosa chiara e la si ribalta in modo che abbia un significato contrario. Gli inglesi dicono “fake”. Il problema è che, all’insaputa di Travaglio, i mafiosi – Bagarella, Brusca e altri – erano accusati di “minacce a corpo politico”, non di “trattativa”. La trattativa, secondo le accuse della stampa, delle tv e dei Pm aggregati a stampa e tv, sarebbe avvenuta tra i mafiosi e i carabinieri e Dell’Utri, ma invece i magistrati di appello e poi quelli della Cassazione hanno accertato che era solo una bufala. In linea teorica (teorica, perché la prescrizione non è una condanna) i mafiosi possono aver minacciato senza trattare con nessuno.
Non ci vuole un genio per raccontare come sono andate le cose. Riassumo in poche righe. I Ros dei carabinieri, guidati da Falcone, stavano scoprendo il velo sui rapporti della mafia con ampi settori di imprenditoria del Nord, e avevano preparato il famoso dossier-Mori. La mafia, per reazione, prima attaccò Falcone, uccidendolo, e poi (siccome Borsellino chiedeva che fosse assegnata a lui l’inchiesta sul dossier-Mori) uccisero anche Borsellino. A quel punto la Procura di Palermo, con un documento firmato dal senatore Scarpinato e dal dott. Lo Forte, pochi giorni dopo l’uccisione di Borsellino chiese l’archiviazione del dossier-Mori. E l’ottenne in qualche settimana appena. Le indagini sui rapporti tra mafia e imprenditoria si persero. Contemporaneamente un altro pezzo dello Stato (polizia e forse anche magistratura) si incaricò di deviare le indagini sull’omicidio Borsellino, e ci riuscì bene ammaestrando un pentito di nome Vincenzo Scarantino che raccontò un sacco di balle ai magistrati – tra i quali anche Nino Di Matteo – che gli credettero e nessuno più indagò sulle ragioni vere dell’uccisione di Borsellino.
A quel punto la lotta antimafia era impacchettata, finita. Ma restava un pericolo in azione: i Ros di Mori. Che nel frattempo avevano catturato il capo di Cosa Nostra, cioè Totò Riina, cosa vista non troppo bene in vari ambienti. Fu allora che la Procura dichiarò guerra a Mori per neutralizzarlo. E lo trascinò in diversi processi (quattro mi pare) che lo immobilizzarono per un quarto di secolo. Sempre assolto, sì, perché le accuse erano davvero scombiccherate, ma al prezzo di inaudite sofferenze morali per lui, per i suoi carabinieri e anche per Marcello Dell’Utri. Fino all’altro giorno, quando la Cassazione ha definitivamente mandato a quel paese gli inetti – si, dai: diciamo inetti, siamo generosi…- della Procura di Palermo, e ha definitivamente riabilitato gli imputati.
La persecuzione contro Mori è stata sostenuta, in tutti questi anni, da un formidabile schieramento di stampa e tv, soprattutto tv di stato. Testimonianze false, filmati, fiction, ore di improperi nel talk. Vogliamo riassumere il tutto con una frase breve: un ingente schieramento ha difeso a spada tratta la mafia, immobilizzandone i nemici, e si è autodefinito schieramento antimafia. Non aveva nulla di antimafia: era il contrario. E Mori, in modo del tutto evidente, è tra gli italiani viventi l’unico (assieme ai suoi collaboratori) ad avere combattuto davvero Cosa Nostra. Questo giornale, Il Riformista, che è tornato in edicola dopo sette anni di silenzio il 29 ottobre del 2019, in questi quasi quattro anni si è occupato molte volte della trattativa. E quasi sempre – a parte gli eccellenti articoli di Damiano Aliprandi sul Dubbio – se ne è occupato in spaventosa solitudine. Cercare di raccontare la verità, di smontare le fandonie costruite nella fabbrica comune di Procure&giornali&Tv, di andare ai fatti, di mettersi contro i magistrati più famosi, non è un mestiere facile. Loro sono potenti: ti rendono la vita impossibile. Escludendoti dalle fonti e perseguitandoti con le querele. Personalmente ne ho collezionate decine dai magistrati più famosi di Italia. Perché lo fanno? Per intimidirti: è il loro metodo, sono convinti che funzioni, a loro ha sempre funzionato.
In questi quattro anni la missione principale di questo giornale è stata sempre la stessa: informare e far valere il principio fondamentale del garantismo per tutti e contro tutti. Che noi consideriamo la colonna portante della modernità. Siamo stati in prima linea, quasi sempre soli, per difendere i Rom lapidati all’unanimità, per difendere Dell’Utri e Cuffaro e Berlusconi – il perseguitato numero uno dalla giustizia – e per difendere Cospito, e la preside siciliana, e tanti assessori di sinistra, e i vecchi esuli in Francia che il governo italiano rivorrebbe indietro, contro ogni legge e diritto, e chiunque venga messo sul banco degli imputati dalla macchina infernale della stampa forcaiola e poi delle Procure. L’altro giorno, per dirne una, Marco Travaglio – che ieri non ha voluto commentare con la sua penna la sentenza sulla trattativa – si è indignato perché i giornali parlavano poco di uno scandalo clamoroso: una assessora al Comune di Roma indagata per corruzione per avere ricevuto in regalo quattro bottiglie di vino. Non ci credete? È così. E se si ha la coscienza a posto ci si vergogna un po’, oggigiorno, per il fatto di appartenere alla categoria dei giornalisti. In questa categoria c’è un sacco di brava gente, colta, professionalmente dotata. È così: ma conta pochissimo questa gente. Contano i vertici del giornalismo, e sui vertici è meglio tacere.
Vi saluto cari lettori. Questo è l’ultimo giorno nel quale firmo da direttore Il Riformista. Dalla settimana prossima il direttore editoriale sarà Matteo Renzi e il direttore responsabile Andrea Ruggieri. Faccio a loro tanti auguri. E son convinto che terranno ferma la linea garantista. Io tra un paio di settimane assumerò la direzione dell’Unità. Che tornerà in edicola dopo sei anni di assenza. E che è un giornale gloriosissimo e grandioso, nel quale, da giovane, ho lavorato per trent’anni. E che sarà un giornale radicalmente di sinistra (come in questi ultimi mesi, del resto, è stato Il Riformista). Sono molto contento del mio nuovo incarico, perché penso che la sinistra italiana abbia un bisogno assoluto dell’Unità. La speranza è che l’Unità e Il Riformista insieme – pur distanti su moltissime idee e su tanti giudizi politici – possano in qualche modo iniziare una controffensiva contro la palude giornalistica che sta uccidendo, in Italia, l’informazione.
I ringraziamenti? Naturalmente alla redazione, magnifica, con la quale abbiamo fatto Il Riformista, dando tutti noi stessi. E poi – forse soprattutto – al mio amico Alfredo Romeo, cioè all’editore, che ha creduto in questa sfida e che da questo mese di maggio sarà alla testa di due quotidiani di centro e di sinistra. Senza gli sforzi di Alfredo non avremmo mai potuto neppure immaginare questa avventura. Non lo conoscevo, prima del 2019. Mi ha fatto ricredere sull’imprenditoria meridionale. Mi ha dimostrato che esiste gente capace, orgogliosa, coraggiosa, onesta, che sa sfidare il capitalismo becero, e che sa usare la forza di imprenditore per combattere grandi battaglie civili. Come la battaglia per il garantismo. Che lui sente fortissima, anche perché è uno di quelli che, da innocente, ha dovuto subire anni di persecuzioni. Sono molto contento di continuare a lavorare con lui, e provare, con lui, a resuscitare il giornale di Gramsci.
P.S. Mentre scrivo mi rendo conto che questa è la prima volta che lascio un giornale senza essere cacciato…
© Riproduzione riservata