Lo spazio, qui, è insufficiente per fare la rassegna anche solo dei titoli di giornale – figurarsi gli ettari di commenti – dedicati ieri alle virtù di moderazione, alle capacità di dialogo, alle incrollabili ambizioni di pace di Ismail Haniyeh, assassinato da Israele nel corso dell’attacco “terroristico” che ha fatto inaccettabilmente carne di porco del diritto di circolazione di quello statista e delle legittime ragioni di privacy a lui garantite dal regime delle impiccagioni. E come nessuno discute del buon titolo di chiunque di deplorare la fine ingiusta di quell’illuminato tessitore di relazioni (“l’uomo della distensione!”), così sono incontestabili i trasalimenti del geopolitologo che preconizza il pericolo imminente dell’escalation per effetto di quello sbrego sconsiderato del diritto internazionale, il complesso aureo di regole e consuetudini disarticolato dal missile oltranzista che chiude pericolosamente ogni prospettiva di pace.

Il criterio

Resta da capire, tuttavia, qual è il criterio. Il fatto che l’attacco sia in terra altrui? Se è questo, qualcosa non fila per il verso giusto. Si dovrebbe spiegare, infatti, per quale motivo si produca tutta quell’indignazione, tutta quell’ansia per gli equilibri dell’area e del mondo quando un assassino sanguinario sterminatore stragista è fatto fuori nel Paese che gli assicura protezione – e, assicurandogliela, dice di voler distruggere Israele e uccidere ogni ebreo sulla faccia della terra – mentre analoga reazione non si registra quando il Paese “colpito” (lo stesso) lancia trecentocinquanta missili, razzi e droni non su un obiettivo militare, ma sui civili israeliani. I quali non sono ammazzati a decine di migliaia non perché i bastonatori di ragazze con le ciocche fuori posto non volessero ammazzarli, ma perché Israele ha sistemi di difesa bellica che riescono a impedire il massacro.

I dispositivi di difesa

I dispositivi di difesa, cioè, che i buontemponi dell’Onu e le nobili rappresentanze del pacifismo bardato di kefiah vorrebbero preclusi alla disponibilità dello Stato del genocidio e della pulizia etnica. Oppure, forse, il criterio è un altro. Potrebbe essere, per esempio, quello misurato sulle dotazioni civili e morali di chi subisce quell’attacco proveniente da terra altrui. Quei civili israeliani, appunto, destinatari di quei trecentocinquanta confetti. C’è caso che non potessero vantare il curriculum umanitario del macellaio del 7 ottobre. C’è caso che bombardarli cambiasse assai poco per gli equilibri del mondo. C’è caso che, crepassero o no, non fosse in questione la tenuta giuridica degli assetti di pace. C’è caso che non avessero attitudini diplomatiche comparabili a quelle del leader degli sgozzatori, cui ieri l’Ansa dedicava un video-ricordo accompagnato da uno struggente pianoforte.