L’entusiasmo di Macron rispetto alla riforma dell’Unione è evidente. Ma talvolta troppo esuberante, secondo alcuni. Basta ricordare l’intervista all’Economist di qualche tempo fa nella quale aveva dichiarato la “morte cerebrale” della Nato, anche con l’intento di rilanciare il ruolo dell’Europa. In quell’occasione, l’imbarazzo delle cancellerie europee fu notevole, specialmente a Berlino dove la Merkel prese subito le distanze.  Tuttavia, resta proprio la Germania il principale alleato del progetto francese. La proposta franco-tedesca del 26 novembre 2019 lo dimostra: in due pagine molto stringate – e fuori da canoni formali predefiniti – i due Paesi propongono un progetto per una “Conferenza sul futuro dell’Europa” di due anni, volta a rivedere quasi tutti gli aspetti del funzionamento dell’Ue, compresi eventuali cambiamenti del trattato, se necessario, con l’obiettivo di rendere l’Europa “più unita e sovrana”. Il progetto richiede un’iniziativa in due fasi.

La prima parte all’inizio del prossimo anno e si concentra sul “funzionamento democratico dell’Ue”, in particolare «per quanto riguarda le elezioni e le designazioni in posizioni chiave». Nel codice diplomatico del testo si legge un riferimento evidente al processo di selezione elettorale e di leadership dell’Unione. Come si ricorderà la logica degli Spitzenkandidaten – ovvero dei “candidati principali” indicati dalle principali famiglie politiche – era saltata con la scelta di Ursula von der Leyen a capo della Commissione europea (e d’altra parte i capi di stato e di governo del Consiglio europeo avevano avvertito che non si sarebbero sentiti vincolati a quel sistema). Il progetto prevede inoltre di esaminare altri strumenti: per esempio la redazione di “elenchi transnazionali” per le elezioni dell’europarlamento, una vecchia proposta di Macron che ha l’obiettivo di superare la distinzione nazionale degli elettorati per costruire una base di legittimazione squisitamente europea.

La seconda fase, ancora più cruciale, della Conferenza sul futuro dell’Europa, riguarderà le “priorità politiche” e durerà per due anni: l’inizio di questa fase coinciderà con la presidenza di turno della Germania a metà del 2020, la sua conclusione con la presidenza di turno della Francia nella seconda metà del 2022. Francia e Germania mantengono così il controllo di questo processo di riforma dell’Unione europea.  Viceversa, l’Italia resta assente. Dopo gli anni dei governi Renzi e Gentiloni – che avevano accresciuto il prestigio e il ruolo del nostro Paese nel consesso europeo – è tutto cambiato. Il governo gialloverde, segnato dall’euroscetticismo e dal populismo, ha progressivamente spostato l’Italia ai margini dell’Europa politica. Con il Conte II – e con la riservata e paziente pressione del presidente Mattarella – sembra domato per ora il radicalismo antieuropeo del M5s, ma il governo non è ancora nelle condizioni di essere protagonista nel processo che si è appena avviato.

E mentre l’Italia rimugina, il progetto di Conferenza è già entrato sia nell’agenda della presidente von der Leyen e sia, da mercoledì scorso, nell’agenda del Parlamento europeo. Il commissario responsabile, Dubravka Šuica, ha annunciato che la Commissione europea illustrerà la sua visione della conferenza la prossima settimana e che i ministri dell’Ue dovrebbero avere un primo scambio durante il Consiglio degli Affari generali del 28 gennaio. Šuica si aspetta che tutto sia pronto entro la primavera, in modo che la conferenza possa svolgersi il 9 maggio che è proprio il giorno in cui si celebra l’Europa.

Journalist, author of #Riformisti, politics, food&wine, agri-food, GnamGlam, libertaegualeIT, Juventus. Lunatic but resilient