L’asse Mosca-Pechino si fa sulla Rotta Orientale. Guerra volano per il gas, ma ora Xi vuole la pace

La guerra in Ucraina ha avuto diversi effetti strategici. Uno di questo è il rafforzamento dell’asse tra Cina e Russia. Di alleanza è difficile parlare. Diversi analisti da tempo suggeriscono che parlare di due “imperi” alleati sia un azzardo storico e anche strategico, visto che entrambe le potenze hanno agende non sempre in sintonia, con un alcuni dossier in cui appaiono anche in evidente competizione. Tuttavia, non è un mistero che da quel febbraio 2022 il piano per rafforzare la partnership tra Mosca e Pechino abbiano subito una netta accelerazione. Lo staff di Xi Jinping e di Vladimir Putin aveva parlato di una “amicizia senza limiti”, con tutto ciò che comporta poi declinare in termini tecnici questa locuzione. Per molti voleva dire “illimitata”, per altri, semplicemente, che non era definita e poteva ampliarsi come restringersi. In ogni caso, la “special relationship” tra lo zar e Xi è attenzionata da tempo.

Per i rapporti militari tra i due Paesi, visto che l’embargo e le sanzioni contro la Russia hanno spinto il Cremlino a rivolgersi sempre più a Oriente. Lo ha chiarito anche il ministro degli Esteri della Lituania, Gabrielius Landsbergis, che a margine del Consiglio Affari esteri di Bruxelles ha ribadito che “la Cina è in realtà uno dei principali sostenitori dell’attività militare della Russia in Ucraina”. Il ministro di Vilnius ha parlato chiaro: “Ora abbiamo una forte possibilità transatlantica, perché gli Stati Uniti sono andati avanti sanzionando società cinesi e individui cinesi”. Anche il ministro degli Esteri olandese, Caspar Veldkamp, ha ammesso che nelle riunioni Ue si discuterà di “tutto ciò che riguarda l’assistenza straniera all’Ucraina, che si tratti di Iran, Corea del Nord e Cina”. Ed esplicita è stata anche la ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock, che ha detto che l’assistenza tecnologica cinese ai russi, in particolare attraverso i droni “deve avere e avrà delle conseguenze”.

L’impressione è che la Cina ora sia ancora di più decisiva. La scelta di Joe Biden di autorizzare l’Ucraina a colpire con i missili a lungo raggio americani il territorio russo rischia di scatenare l’escalation di Putin. E in attesa che Donald Trump entri nella Casa Bianca e metta concretamente mano al dossier di questo conflitto, l’Europa spera che Pechino cambi rotta. Soprattutto con il pressing di Washington che si fa sempre più alto. Ieri, il governo cinese ha inviato un primo segnale. “Un cessate il fuoco in tempi brevi e una soluzione politica sono nell’interesse di tutte le parti. La priorità immediata è quella di promuovere la de-escalation il prima possibile” ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri, Lin Jian. E il portavoce del ministero ha anche sottolineato che Pechino “ha sempre incoraggiato e sostenuto gli sforzi per una risoluzione pacifica della crisi”. Parole che, almeno pubblicamente, confermerebbero l’interesse di Xi a inserirsi nel tavolo del negoziato, forse anche preoccupato da un attivismo di Kim Jong-un in Corea del Nord che non sembra apprezzato dal governo cinese.

Intanto, però, Pechino sa anche di potere passare all’incasso. E il vero principale settore dove ciò avviene con più facilità è quello dell’energia. La Cina da tempo ha compreso che le sanzioni imposte dall’Occidente ai grandi nemici (Iran e Russia) può risultare un vantaggio in termini commerciali. Teheran ha aumentato l’export di petrolio grazie al mercato del gigante asiatico. E lo stesso sta facendo da anni Mosca, soprattutto con i gasdotti che dalla Siberia arrivano nel cuore della Repubblica popolare. L’ultimo esempio è stato annunciato in questi giorni dalla China State Grid Corporation, che ha confermato la fine dei lavori del gasdotto Eastern Route. L’infrastruttura è uno dei vari rami che trasporta gas dai giacimenti russi alle industrie e alle case cinesi. Si snoda per i di cinquemila chilometri dalla Federazione Russia fino al nord-est della Cina e poi Shanghai. Una volta completate tutte le fasi di preparazione per l’avvio definitivo, il gasdotto potrà trasportare fino a 38 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno.

Ed è solo una delle varie condutture che pompa energia nella superpotenza asiatica. Una situazione ben diversa da quella che vive l’Europa, dove invece Gazprom continua a chiudere i rubinetti. La scorsa settimana, per una controversia legale, il colosso russo ha interrotto le forniture di gas all’Austria. Il cancelliere austriaco, Karl Nehammer, ha tranquillizzato sulla presenza di sufficiente gas nei depositi e ha dichiarato: “Non ci faremo ricattare da Putin”. Lo stesso termine lo ha usato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che su X aveva scritto: “Ancora una volta Putin usa l’energia come arma. Sta cercando di ricattare l’Austria e l’Europa tagliando le forniture di gas”. E mentre l’Ue è alla continua ricerca di altre fonti, la Cina riceve un fiume di gas. E forse anche per questo l’assistenza militare a Mosca non potrà interrompersi presto.