Le immagini che giungono dai kibbutz dove sono entrate le forze armate israeliane mostrano l’orrore di quanto compiuto da Hamas durante il suo attacco. Le testimonianze, come quella da Kfar Aza, svelano una furia omicida che non ha risparmiato nulla: anziani, donne, bimbi. Nemmeno gli animali domestici. Il numero dei morti cresce di ora in ora: i civili uccisi dai terroristi sono più di mille, mentre sale l’angoscia per le persone rapite. Israele cerca, con molta difficoltà, di riprendere il controllo della situazione. Dopo lo shock è sopraggiunta la voglia di reagire, ma lo Stato ebraico appare tramortito insieme al suo governo. Il primo ministro Benjamin Netanyahu è sotto il fuoco incrociato della stampa, accusato di essere scomparso dai radar e di non essere stato in grado di garantire la sicurezza dei cittadini. E tutto sembra pronto per un governo di unità nazionale, come dimostra il dialogo tra Netanyahu e Benny Gantz.

Dalla linea del fronte, intanto, le Israel defense forces hanno iniziato a predisporre l’assedio su Gaza. Una scelta che ha già provocato gli avvertimenti delle Nazioni Unite, preoccupate che la reazione di Israele si trasformi in una rappresaglia contro l’intera popolazione della Striscia, sottoponendola a un’ulteriore crisi umanitaria. Gli sfollati, secondo l’agenzia Ocha dell’Onu, sono già oltre i 200mila, mentre molti si dirigono verso l’Egitto affollando le città di Rafah e Khan Yunes. Nel frattempo per le Idf i compiti si moltiplicano. Il primo obiettivo è quello di ripristinare l’ordine su tutto il territorio colpito dagli assalti di Hamas. Entrare nei villaggi assaltati, rendersi conto dei crimini commessi, ma anche rafforzare di nuovo il confine, lì dove sono passate le bande provenienti dalla Striscia. Il portavoce militare Daniel Hagari ha dichiarato che per le aree dove la barriera è stata abbattuta si sta provvedendo a piazzare delle mine. Il secondo obiettivo, mentre inizia l’assedio, è quello di continuare i bombardamenti su Gaza per decapitare Hamas, il Jihad islamico palestinese e colpire i centri nevralgici della resistenza. Una fase che si concretizza con attacchi dal cielo e dal mare, e che durerà almeno fino a quando non sarà dato l’eventuale semaforo verde all’operazione via terra e non prima di avere colpito obiettivi particolarmente rilevanti. Il terzo obiettivo è infine quello di continuare la guerra a bassa intensità con le frange palestinesi o filopalestinesi presenti in Libano evitando che dal fronte nord possa innescarsi lo scenario peggiore: quello di una guerra che coinvolga anche Hezbollah e soprattutto che divida le truppe impegnate intorno alla Striscia di Gaza.

Al momento si registrano lanci di razzi dal sud del Libano e le risposte di Israele con colpi di artiglieria per annientare le postazioni nemiche. La tensione resta alta e nonostante le garanzie concesse da Hezbollah al governo di Beirut per evitare di iniziare un conflitto, molti osservatori sono preoccupati da come l’Iran possa gestire la milizia sciita guidata da Hassan Nasrallah. Del resto Teheran continua a essere il grande osservato speciale di questa guerra. I leader della Repubblica islamica hanno mostrato grande vicinanza ad Hamas, esultando per l’attacco contro Israele. Molti analisti puntano il dito sul collegamento tra le organizzazioni palestinesi e i militari iraniani, soprattutto per l’eventuale addestramento fornito per compiere questo attacco. Ma prove definitive del coinvolgimento di Teheran non ci sono. A dirlo è stato anche il portavoce per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, che – pur ribadendo i legami tra Hamas e gli Ayatollah – ha sottolineato come né gli Usa né Israele abbiano “prove concrete e tangibili che l’Iran sia stato direttamente coinvolto nella partecipazione e nella pianificazione” degli assalti contro lo Stato ebraico. L’attenzione, almeno per il momento, rimane quindi concentrata sulla roccaforte di Hamas, Gaza. Lì dove la battaglia si preannuncia terribile.