Il terrorismo islamico continua a flagellare l’Africa, colpendo praticamente indisturbato tutti i paesi della fascia centrale del continente. Questa volta è stato il Ciad a vedere un feroce attacco del gruppo nigeriano di Boko Haram che ha colpito una piazzaforte militare dell’esercito ciadiano nella martoriata regione del Lago Ciad. Almeno 17 militari dell’esercito nazionale sono rimasti uccisi, ma le autorità di N’Djamena parlano di quasi 100 terroristi caduti nell’attacco. Questo è il terzo attacco in meno di sei mesi contro le forze armate ciadiane che non riescono a riprendere il controllo dell’area di confine con Niger e Nigeria.

A marzo erano stati uccisi 8 soldati di pattuglia, mentre ad ottobre addirittura un distaccamento di 40 militari era stato trucidato da un altro assalto di Boko Haram. Il movimento terrorista che è nato negli stati settentrionali della Nigeria una decina di anni fa ha visto una dolorosa scissione quando la maggior parte dei suoi adepti sono entrati a far parte dello Stato islamico dell’Africa Occidentale (ISWAP). Da questo momento è iniziato un feroce scontro fra i due network che ha visto prevalere lo Stato Islamico costringendo Boko Haram ad abbandonare la sua regione storica cercando una nuova base proprio sulle rive del Lago Ciad.

Boko Haram, che fonde una parola araba ed una della lingua nigeriana hausa e significa che la cultura occidentale è proibita, ha da diversi anni un raggio d’azione molto ristretto, ma negli ultimi mesi è riuscita ad arruolare fra le tribù scontente che vivono a cavallo fra Ciad, Niger e Nigeria. I Fulani, ma anche i Tuareg ed i Tebu, sono popoli nomadi che non riconoscono i confini nazionali tracciati a tavolino e praticano l’allevamento di bestiame, ma non disdegnano razziare villaggi e campi coltivati da popolazioni stanziali agricole. Queste etnie sono sempre state fortemente osteggiate dai governi centrali che fanno estrema fatica a tenerli sotto controllo e per questo motivo diventano facile preda del proselitismo degli estremisti islamici che riescono ad arruolare gli uomini delle tribù o a creare alleanza territoriali. Il Ciad ha dichiarato lo stato d’emergenza nelle regioni del nord-ovest del paese, ma senza lo storico aiuto dei francesi le truppe ciadiane sembrano fare molta fatica a contenere l’insurgenza jihadista.

Molti degli stati di questa area sono finiti sotto il controllo della Russia che ha inviato qui i mercenari del Wagner Group che però non riescono a difendere Mali, Niger e Burkina Faso dai continua attacchi del terrorismo islamico. Il Ciad non ha definitivamente chiuso i rapporti con Parigi, ma ha ridotto la sua storica dipendenza che sotto il padre dell’attuale presidente era totale. Il giovane presidente Mahmat Deby Itno ha vinto elezioni molto contestate che alcune settimane prima hanno visto un fantasioso tentativo di colpo di stato, utile soltanto ad uccidere il leader del più importante partito di opposizione. Il Ciad resta uno stato fragile in un’area molto complicata, ma che l’Europa dovrebbe cercare di aiutare per evitare che finisca nell’orbita di Mosca, sempre pronta ad esercitare la sua longa manus in Africa.

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Matteo Giusti, giornalista professionista, africanista e scrittore, collabora con Limes, Domino, Panorama, Il Manifesto, Il Corriere del Ticino e la Rai. Ha maturato una grande conoscenza del continente africano che ha visitato ed analizzato molte volte, anche grazie a contatti con la popolazione locale. Ha pubblicato nel 2021 il libro L’Omicidio Attanasio, morte di una ambasciatore e nel 2022 La Loro Africa, le nuove potenze contro la vecchia Europa entrambi editi da Castelvecchi