Le parole del Presidente Mattarella pesano come pietre. La pacatezza e la consueta compostezza dell’eloquio, nel mezzo di una comunicazione politica urlante ed esagitata, non possono far trascurare alcuni passaggi del suo intervento alla Scuola superiore della magistratura, inaugurata 10 anni or sono in Toscana. Il monito alle toghe è stato imperioso: «è necessario rivitalizzare le radici deontologiche» della magistratura italiana prosciugate e rinsecchite da pratiche spartitorie divenute intollerabili. Per farlo è indispensabile che il Csm, «sin dal momento della sua composizione» punti «a valorizzare le indiscusse professionalità su cui la magistratura può contare».
Un’indicazione importante, pronunciata al cospetto della ministra Cartabia che deve al più presto – e prima delle elezioni per il rinnovo dell’organo di autogoverno, ha chiarito il Presidente – proporre al Parlamento la nuova legge non essendo immaginabile che si possano portare al voto i magistrati con il sistema vigente. Anzi le parole di Mattarella sono ancora più sferzanti e senza appello: «non si può accettare il rischio di dover indire le elezioni con vecchie regole, con sistemi ritenuti da ogni parte come insostenibili». Vediamo di seguire la traiettoria, il progetto di legge elettorale che si cela, non troppo invero, nelle parole che vengono dal Colle più alto.
Innanzitutto, la legge elettorale deve puntare a una composizione qualitativamente “alta” del Csm; missione importante, ma dannatamente complicata da realizzare. Le «indiscusse professionalità» che devono connotare il Csm «sin dal momento della sua composizione» non sono facili da rintracciare. A prosciugarsi, in questi anni, è stata infatti anche la partecipazione alla vita associativa e istituzionale della magistratura italiana di quelle figure di primo piano che tante volte hanno concorso negli anni passati all’elezioni a Palazzo dei marescialli portandovi un contributo di eccezionale valore etico e culturale. Riavvicinare queste toghe alle candidature e scacciare dal tempio i mercanti delle preferenze e delle cordate è un programma tanto vasto, quanto poco realizzabile. Almeno che la nuova legge elettorale non preveda meccanismi di voto che privilegino le correnti disposte a ingaggiare i magistrati più stimati e a sostenerli elettoralmente. Imporre per legge elezioni primarie senza liste e con un successivo apparentamento dei più votati alle liste disposti a eleggerli, sarebbe già un buon primo passo per puntare a ottenere la disponibilità di fior di toghe che oggi guardano con sospetto e, qualche volta, anche con giustificato rancore a quello che reputano una sorta di palude infida e inaffidabile e non vogliono un’etichetta correntizia.
In secondo luogo, le parole del Presidente sembrano recare anche una dura reprimenda verso il Csm in carica. Affermare che «non si può accettare il rischio di dover indire le elezioni con vecchie regole, con sistemi ritenuti da ogni parte come insostenibili», non potrebbe che riversarsi a cascata contro l’attuale composizione dell’organo di autogoverno. Posta in questi termini l’accusa sarebbe, però, ingiusta e, per giunta, smentita dalla gestione dell’affaire Palamara da parte del Quirinale negli ultimi due anni e mezzo. Si è scelta la strada del rinnovo parziale del Csm con distinte tornate di suppletive e il Colle ha resistito alle sollecitazioni di quanti lo spingevano a pretendere le dimissioni in massa dei consiglieri provocando una sorta di autoscioglimento dell’organo. Questa opzione sta a indicare che il Presidente ha continuato ad avere fiducia nella composizione del Csm per come integrata dopo le dimissioni di tanti e il rinnovo derivante dalle nuove elezioni.
L’attacco alla legge elettorale additata come “insostenibile” per la credibilità della magistratura italiana è, quindi, piuttosto una critica feroce al modo con cui le correnti hanno gestito il consenso e organizzato le liste che una legge da cambiare, è vero, ha indubbiamente agevolato. Il passaggio è importante. La Prima Repubblica, con il suo vecchio sistema delle preferenze multiple, aveva creato congegni elettorali interamente piegati alle istanze dei partiti e dei loro cortigiani; la legge elettorale non era la causa della corruzione e del malcostume, ma la agevolava e la conservava. Parimenti, sembra cogliersi nelle perentorie parole presidenziali, la legge per il voto al Csm porta in sé le stimmate di una deviazione e di una aberrazione che occorre correggere.
Occorrerebbero idee e proposte rivoluzionarie e il sorteggio manifesta tutto il suo corto respiro rispetto al piano ambizioso e alla sfida che la Presidenza ha lanciato. Non potrebbe certamente essere la riffa del sorteggio a portare in evidenza le «indiscusse professionalità» evocate da Mattarella. Occorre, piuttosto, che le correnti – come Diogene di Sinope – afferrino la lanterna e si mettano a cercare nelle aule dei palazzi di giustizia i magistrati più probi, i più laboriosi, i più sereni e imparziali che tutta la corporazione ben conosce e che tante volte hanno maltrattato per favorire i propri clientes.