Insufficienti le risposte di governo, imprese e sindacati
Lavori e sei povero, Italia maglia nera del G20: stipendi bassi, potere d’acquisto a picco e salario minimo inesistente

Lavori ma non arrivi a fine mese. Benvenuti in Italia dove non esiste un salario minimo legale, dove produttività è cresciuta negli ultimi anni, dove gli stipendi non sono mai stati adeguati e dove dal 2008 ad oggi i salari hanno subito la più forte perdita di potere d’acquisto tra tutti i Paesi del G20: -8.7% (in Germania c’è stato un aumento quasi del 15%, in Francia del 5%).
Il rapporto mondiale sui salari 2025-26, stilato dall’Oil, l’Organizzazione internazionale del lavoro, cristallizza il fallimento politico degli ultimi decenni tra tassazione alle stelle e l’abuso di bonus non si è mai deciso di affrontare in modo adeguato l’emergenza lavoro, perché crescerà pure l’occupazione ma grazie a stipendi miseri e a contratti scelti dai datori di lavoro solo per alleggerire l’enorme pressione fiscale, si fa sempre più fatica ad arrivare al 20esimo giorno del mese.
Il report sui salari che viene pubblicato con cadenza biennale con l’azione dell’OIL in materia di diseguaglianze salariali, che s’inserisce nel quadro dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile (Obiettivo 10) delle Nazioni Unite che mira a ridurre le disuguaglianze sia all’interno dei singoli paesi che a livello globale.
Negli ultimi tre anni, dopo un calo dei salari reali del 3,3% nel 2022 e del 3,2% nel 2023, nel 2024 c’è stato comunque un aumento del 2,3%, comunque insufficiente a recuperare la perdita di terreno rispetto all’inflazione, che nel 2022 – complice l’inizio della guerra in Ucraina – aveva raggiunto il picco dell’8,7%. Inflazione che ha avuto un ruolo chiave nel determinare la cattiva performance delle retribuzioni in Italia, insieme ad una serie di fattori strutturali: dal nanismo della struttura produttiva alla bassa produttività, in particolare nei servizi, passando dagli scarsi investimenti in innovazione tecnologica e formazione dei lavoratori.
Tuttavia da due anni a questa parte la produttività è cresciuta più dei salari ma il rinnovo di contratti di lavoro non si è dimostrato, nella media, in grado di mantenere i salari almeno in linea con l’aumento dei prezzi. I contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL) che scaturiscono dai negoziati e dagli accordi tra le organizzazioni datoriali e i sindacati definiscono dei minimi di salario per ciascun settore, professione e livello di inquadramento, coprendo la maggior parte dei lavoratori dipendenti e garantendo un livello minimo di retribuzione in base alla categoria lavorativa e all’anzianità di servizio. Le retribuzioni contrattuali orarie nominali calcolate su una media dei CCNL sono aumentate del 15 per cento negli ultimi 10 anni ma in termini reali hanno subito una perdita di oltre 5 punti percentuali e prodotto un calo del potere d’acquisto dei lavoratori. L’impatto della crisi del costo della vita è particolarmente evidente. I salari reali sono rimasti relativamente stabili per poi diminuire rapidamente a partire dalla metà del 2021.
Le diseguaglianze interne
All’interno della crisi dei salari in Italia, a completare il quadro c’è una situazione di forti diseguaglianze tra lavoratori italiani e stranieri, con questi ultimi relegati nelle attività meno retribuite, tanto che il loro salario medio è del 26% inferiore a quello degli italiani che fanno lo stesso lavoro; tra donne e uomini, con le prime che hanno redditi da lavoro nettamente inferiori, anche perché costrette molto più frequentemente al part time; e tra giovani e anziani, con i primi che, soprattutto se con un alto titolo di studio, ricevono stipendi medi decisamente inferiori rispetto a quelli che prenderebbero negli altri Paesi avanzati. Insomma, una situazione, complessa, che viene da lontano e rispetto alle quali le risposte degli attori in campo, governo, imprese e sindacati, appaiono insufficienti.
Le questioni salariali – ricorda il rapporto – sono fondamentali per la riduzione delle disuguaglianze e per la realizzazione della giustizia sociale. La riduzione delle disuguaglianze e della povertà lavorativa sono un traguardo fondamentale per la realizzazione della giustizia sociale. Affrontare le disuguaglianze di reddito nel mercato del lavoro, compresi i divari retributivi di genere e i divari retributivi subiti dai lavoratori in situazioni di vulnerabilità, è un percorso necessario per ridurre le disuguaglianze e la povertà lavorativa. Anche perché il reddito da lavoro è la principale, se non l’unica, fonte di reddito per la maggior parte dei lavoratori e delle loro famiglie.
L’Oil ricorda che la crescita economica trainata dai salari e accompagnata da politiche redistributive, da incrementi del salario minimo e dalla contrattazione collettiva si traduce in una maggiore domanda di consumi e una maggiore crescita della produttività, che a sua volta porta a maggiori investimenti. Quando i salari aumentano, i lavoratori hanno più reddito disponibile e consumano di più. La maggiore spesa per consumi spinge le aziende a produrre di più e potenzialmente ad assumere più lavoratori che, a loro volta, spendono i loro guadagni e stimolano ulteriormente l’economia.
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