Lavori e sei povero, la vera emergenza che la politica non vuole vedere: occupazione in aumento ma il piatto a tavola non arriva a fine mese

Tra i tanti problemi che affliggono il nostro Paese in tema di economia, il lavoro povero sta diventando sempre più un’emergenza. A certificarlo è stato l’Istat con uno studio dedicato alla povertà in Italia e pubblicato la scorsa settimana ma passato sotto silenzio visto che l’agenda della comunicazione è dettata da altri argomenti: dal trasferimento degli immigrati in Albania, allo scontro magistratura-politica fino ad arrivare al compleanno dell’Esecutivo Meloni che il 22 ottobre ha compiuto due anni. Eppure, quello della povertà dovrebbe essere in cima alle priorità non solo del Governo ma anche dell’opposizione.

Operai allo stremo

Tra gli elementi che emergono dall’indagine, quello che fa maggiormente riflettere è l’aumento dell’incidenza della povertà tra gli operai. Nel 2023 essa è salita al 16,5 per cento: l’anno precedente era più bassa di due punti percentuali. Cosa vuol dire questo? Che su cento operai, quasi diciassette sono al di sotto della soglia di povertà. Il loro salario non è sufficiente a garantire una vita dignitosa visto che è la stessa Istat a definire la soglia della povertà come “la spesa minima necessaria per acquisire i beni e i servizi inseriti nel paniere di povertà assoluta”.

Tradotto in termini pratici: ci sono operai che non riescono a mettere il piatto a tavola tutti i giorni. Questo elemento colpisce molto anche perché, allo stesso tempo, diminuisce l’incidenza della povertà di chi è alla ricerca di lavoro. Tra i disoccupati, essa è pari al 20,7 per cento; nel 2022 era al 22,7 per cento. Se a questi due elementi si aggiunge che il numero di occupati in Italia, nel corso degli ultimi due anni, è cresciuto di 1,67 milioni la domanda è immediata: come è possibile che aumentando l’occupazione aumenta l’indice di povertà tra i lavoratori? Una crescita del numero di lavoratori dovrebbe invece far diminuire questo indice visto che le persone si trovano a disposizione uno stipendio che prima non avevano. Eppure non è cosi.

Lavoro povero

Per quanto si cerchino risposte complicate, la verità è molto più semplice di quanto si possa pensare: i salari di chi ha trovato un nuovo lavoro spesso non garantiscono un livello dignitoso di vita.
Si lascia una situazione di povertà dovuta al mancato sostentamento, ci si trova in una situazione di povertà dovuta al reddito decisamente basso. In pratica, negli ultimi due anni il sistema Italia ha creato nuovo lavoro; lo ha creato a tempo indeterminato ma ha anche generato lavoro povero. Basti pensare, ad esempio, ai tanti meridionali che migrano al Nord per lavorare. Hanno uno stipendio ma il costo degli alimenti, l’affitto e le altre incombenze non consentono di avere un tenore di vita dignitoso. Ciò spiega anche il motivo per il quale nel Mezzogiorno il tasso di incidenza di povertà assoluto è leggermente diminuito mentre è cresciuto al Nord.

Valore aggiunto

Ancora una volta si torna al punto che né la politica, né le forze sociali ed economiche sembrano poter o volere dirimere: il livello troppo basso dei salari nel Belpaese. D’altronde, come certifica l’Ocse, la nostra è l’unica Nazione in cui il potere di acquisto negli ultimi trent’anni è diminuito anziché aumentare. A fronte di un costo del lavoro in linea con la maggior parte delle economie occidentali, se non leggermente più basso, il problema in Italia sono i soldi che arrivano in tasca ai lavoratori: ancora troppo pochi. È su questo fronte che è necessario spingere: dare più soldi ai lavoratori e garantire loro una maggiore stabilità sul fronte dei contratti. Per fare ciò ci sono due strade.

Da un lato l’introduzione di un salario minimo per quelle categorie che ancora guadagnano troppo poco: sono oltre 3 milioni i lavoratori che sfuggono ai contratti nazionali. Dall’altro la via maestra sarebbe l’aumento della produttività. In questo secondo caso, infatti, non crescerebbe l’inflazione a crescere dei salari visto che si creerebbe lavoro con alto valore aggiunto. La produttività, però, cresce solo se aziende, sindacati e Stato si siedono intorno ad un tavolo e trovano una quadra.

Per far crescere la produttività è necessario garantire un taglio del cuneo fiscale molto più robusto, aiutare le imprese a fare investimenti in produttività; non solo, bisogna detassare totalmente ciò che rappresenta salario extra (straordinario, festivi, benefit). In cambio di questo, i lavoratori dovrebbero garantire impegno ad aggiornarsi e flessibilità sul lavoro. La soluzione sembra a portata di mano. Manca solo la volontà politica. Sempre che la politica si accorda di questo enorme problema.