L’inverno demografico (il combinato disposto tra denatalità e invecchiamento) non pone solo problemi ormai antichi (anche se non risolti) per la sostenibilità dei sistemi di welfare ed in particolare dei modelli di pensionamento, ma ormai determina effetti destabilizzanti anche sul versante del mercato del lavoro. Per la prima volta in Italia (ma la tendenza è diffusa, sia pure in forme diverse, anche in altri paesi europei) si è verificata una crisi dell’occupazione dal lato dell’offerta, ovvero, ci sarebbero i posti ma non i lavoratori in grado di ricoprirli. Ovviamente il ragionamento è molto più complesso e varia a seconda dei territori e dei comparti produttivi: gli ultimi dati dell’Istat, riferiti a febbraio 2025, hanno certificato la presenza di 1,5 milioni di disoccupati (divisi praticamente a metà tra uomini e donne) e di oltre 12 milioni (7,7 milioni le donne e 4,4 milioni gli uomini) di inattivi, di un’età compresa tra i 15 e i 64 anni (che continua ad essere la fascia delle persone ritenute in età di lavoro). Pur senza disporre dell’ufficialità dell’Istat, il Sistema Informativo Excelsior – progetto promosso da Unioncamere in collaborazione con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e con l’Unione europea – effettua il monitoraggio del fabbisogno di assunzioni e certifica il difficile reperimento del personale necessario.

Si tratta dell’unica rilevazione ufficiale che analizza, a cadenza mensile, i programmi di assunzione riferiti ad un universo di oltre 1 milione e 300mila aziende. La criticità nel reperimento dei lavoratori dipende da molti fattori, il più importante dei quali è certamente quello delle competenze e delle professionalità disponibili. Il che chiama direttamente in causa il sistema scolastico e formativo, le politiche attive del lavoro per quanto riguarda l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Ma a queste criticità qualitative se ne aggiungono in misura crescente altre, prettamente quantitative, nella difficile reperibilità di manodopera. Secondo il più recente rapporto, sono oltre 497mila i lavoratori ricercati dalle imprese a gennaio 2025 e circa 1,4 milioni per il primo trimestre dell’anno. Stabile rispetto a 12 mesi fa, la difficoltà di reperimento che riguarda sempre almeno un’assunzione su due (49,4%), soprattutto a causa della mancanza di candidati (32,0%). Inoltre, sono 148mila i posti di lavoro (30% delle assunzioni di gennaio) per cui le imprese manifestano una preferenza per i giovani sotto i 30 anni. Risulta difficile anche reperire, per il 38,4% del fabbisogno, il personale non qualificato. A gennaio, poi, le imprese avevano programmato oltre 89mila assunzioni di lavoratori immigrati, pari al 18% del totale.

Condizioni più vantaggiose in altre aziende

Viene da chiedersi per quali motivi una tale situazione sia del tutto estranea alla narrazione sindacale – riguardante l’occupazione e le retribuzioni – quando il venire meno del classico “esercito di riserva” rafforza il potere contrattuale dei lavoratori professionalizzati, che si vedono costretti ad arrangiarsi ognuno per conto loro col proprio datore o ad andare a cercare condizioni più vantaggiose in altre aziende. Ci sono poi altri segnali significativi che sfuggono, in particolare i ‘’buchi’’ che la denatalità ha determinato nella catena delle coorti che si avvicendano nel mercato del lavoro. Il mondo dell’impiego invecchia, le coorti che crescono di più sono quelle più anziane.

L’aumento dell’occupazione

Secondo i dati Istat, l’aumento dell’occupazione (+0,6%, pari a +145mila unità) riguarda gli uomini e le donne, i dipendenti e gli autonomi, tutte le classi d’età ad eccezione dei 35-49enni tra i quali il numero di occupati diminuisce. Mentre tra il 2014 e il 2023, la quota di persone con un’età compresa tra i 50 e i 64 anni è aumentata del 5,8% in Europa (+5,2 milioni) e del 14,8% in Italia (+1,8 milioni). Influiscono certamente su questo trend le regole riguardanti l’età pensionabile e la crisi dell’offerta che inducono le aziende a trattenere più a lungo il personale qualificato.

Gli andamenti demografici

Sono tuttavia prevalenti gli effetti degli andamenti demografici. Col passare del tempo, vi è anche il passaggio automatico dei lavoratori a coorti più anziane, mentre quelle che seguono sono in numero inferiore per banali motivi demografici (nel senso che non sono nati in numero adeguato). Ne deriva che la fotografia del mercato del lavoro riguarda più o meno la stessa platea, ma che i soggetti, invecchiando, hanno cambiato coorte e quindi sembrano in numero maggiore. Il fatto è che le coorti che seguono non sono in numero sufficiente per sostituire quelle che escono.