Sorpresa! Un avviso di garanzia a Giorgia Meloni, proprio adesso! Tempismo perfetto, quasi svizzero. Del resto, la giustizia a orologeria è un grande classico della politica italiana, una tradizione che non passa mai di moda. Ed ecco che, anche ora, arriva l’inchiesta puntuale, precisa, chirurgica. E così, mentre il governo lavora, l’opposizione si divide e gli italiani pensano a come arrivare a fine mese, ecco che la macchina giudiziaria si rimette in moto, puntuale come il canone Rai. Coincidenze? No, grazie. Ora, ovviamente, ci diranno che “la giustizia fa il suo corso”, che “non bisogna strumentalizzare”, che “nessuno è sopra la legge”. “Ho avuto uno scatto di dignità” – ha affermato l’avvocato Luigi Li Gotti da Andrea Pancani a Coffee Break su La7, spiegando che non poteva restare in silenzio di fronte a quella che considera una grave violazione dei principi di giustizia e legalità. Certo, certo. Peccato che questo corso della giustizia assomigli più a un fiume in piena quando c’è di mezzo la destra, e a un placido ruscello quando si tratta di altri schieramenti. Chissà perché, non vediamo lo stesso zelo investigativo quando i protagonisti sono certi leader di sinistra, quelli sempre immacolati, sempre candidi, sempre assolti preventivamente dall’opinione pubblica e dai media amici.

Ma qua non importa che il caso sia fondato o meno, non importa se l’approccio pragmatico della Meloni sia giusto, o che il Governo stesso ha il dovere di prendere decisioni autonome per garantire stabilità e difendere gli interessi dell’Italia, e non importa se finirà nel nulla come tante altre indagini a orologeria: l’obiettivo è comunque politico, non giudiziario e lo schema è sempre lo stesso: lanciare il sasso, sporcare l’immagine, gettare ombre, seminare dubbi nell’opinione pubblica. Poi, tra qualche anno, magari, arriverà l’archiviazione.
E guarda caso, accade in un momento cruciale: il governo Meloni tiene saldamente il timone, la sinistra annaspa senza leader credibili, l’opposizione cerca disperatamente un appiglio. Ed ecco servito il solito assist dalla magistratura. Un déjà-vu che ricorda fin troppo bene ciò che è accaduto ad altri esponenti del centrodestra nel passato.

Ma Il vero problema non è la Meloni indagata, ma una giustizia che si muove a senso unico, con tempistiche che fanno pensare più a strategie di palazzo che a indagini imparziali. Pensiamo davvero che una parte della magistratura sia neutrale? Difficile crederlo.
L’avviso di garanzia a Giorgia Meloni è solo l’ennesima conferma di una giustizia che in Italia, più che cieca, sembra avere un’agenda politica ben precisa. E a rimetterci, ancora una volta, è la democrazia.
Per questo, a maggior ragione, la riforma è legittima, urgente, necessaria. Ma l’ANM cosa fa? Annuncia lo sciopero! Segnale preoccupante di resistenza corporativa e di inciviltà istituzionale. Un gesto che appare come una chiusura pregiudiziale al confronto democratico e una difesa di privilegi anacronistici.

Ma i magistrati non sono custodi della legge? Non dovrebbero essere i primi a rispettare il principio di separazione dei poteri e a garantire il funzionamento della giustizia senza interruzioni? Le istituzioni, e in particolare la magistratura, non possono permettersi di apparire come una casta impermeabile al cambiamento, che si oppone alle riforme per difendere privilegi acquisiti invece che per migliorare il sistema.
I dati parlano chiaro: in Italia un processo civile può durare in media oltre otto anni, e non va meglio sul fronte penale. Questo non solo mina la fiducia dei cittadini nella giustizia, ma rappresenta anche un freno per l’economia, scoraggiando investitori e imprese. È lecito, dunque, chiedersi se i magistrati stiano difendendo principi costituzionali, o semplicemente un sistema che non funziona. E in Italia, la giustizia non è mai solo una questione di tribunali.

Claudia Conte

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